Ma summa delle domande, se non c’è un interesse forte verso questa serie, perché lo stai recensendo occupando spazio ad altre serie? Potrei rispondervi in vari modi, con un “perché mi va!”, con un “perché mi è capitato tra le mani”, ma me la sbrigo con un “perché presenta alcuni elementi interessanti che valgono la pena di essere analizzati” così risolvo la pratica in maniera professionale e posso fare il figo nelle varie fiere.
Di cosa parla questo Hikaru no Go?
Come dice il titolo del Go di Hikaru, e cioè di un gioco simile ad Othello che si pratica principalmente nell’area che va dal Giappone, passando per la Corea e la Cina.
Un gioco come dicevo simile agli scacchi che si basa essenzialmente sulla previsione degli attacchi altrui per stabilire una tattica adeguata che renda possibile la conquista di più spazio possibile sulla tavola. Retoricamente potrebbe essere accostato ad un vecchio gioco strategico di guerra laddove le pedine sono i soldati da muoversi lungo il territorio e visti i tempi credo che l’allegoria calzi a pennello. Tutto inizia quando Shindou Hikaru trova nella soffitta della casa dei nonni una vecchia tavola di Go che possiede una maledizione, all’interno di essa giace l’anima di un vecchio maestro di Go, morto suicida nell’epoca Heian senza aver raggiunto la “mano di dio” (non ci riferiamo alla mano di Maradona ai mondiali dell’86, ma al colpo decisivo che renda possibile il raggiungimento della perfezione nel gioco). Sai Fujiwara, lo spirito, da quel momento entrerà nella mente di Hikaru instradandolo piano piano nel fantastico (maddechè?) e complesso mondo del Go e insegnandogli piano piano la vita tramite il Go. Un maestro in toto. Shindou nel suo percorso si ritroverà a fronteggiare con il giovane ed esperto Touya Akira, figlio del grande Touya Meijin (Meijin è un nome che viene dato ai grandi campioni di Go), l’uomo verso cui invece Sai mira.
Il viaggio dei due protagonisti si scontrerà con i due fin quando il piccolo Shindou…
Vi sto sulle balle ogni volta che interrompo la trama vero?
Beh, è una mia piccola goduria, tuttavia è anche legato alla volontà di non volervi rovinare la sorpresa. La trama a dire il vero scorre fluida e senza tanti colpi di scena, risulta parecchio prevedibile a chi mastica anime e manga da parecchio tempo, nonostante tutto risulta piacevole e in certi punti coinvolgente se si riesce ad abbassare il livello delle pretese stilistiche e tecniche.
Tenete infatti conto che questo è un anime indirizzato prettamente ai giovani giapponesi (lo testimonia anche il piccolo programmino sul Go condotto da bambini che c’è alla fine di ogni puntata) e logicamente infarcire un semplice divertissement di grandissimi ragionamenti psicologici o di elaborazioni tecniche sarebbe stato troppo esoso economicamente (contando anche la durata della serie, che in Giappone ancora prosegue con successo) e poco remunerativo nonché ne avrebbe snaturato il target rendendo il prodotto magari non propriamente fruibile.
Dal punto di vista tecnico il prodotto si presenta con alti e bassi, innanzitutto nel chara design, che riesce si nell’intento di dare un’età ai personaggi e seguirli nella crescita, ma molte volte si discosta stilisticamente da un episodio all’altro e in particolare nei flashback dal sessantesimo episodio in poi , in cui i personaggi risultano un po’ troppo arrotondati, segno che il key animator che ha sostituito il precedente non ha fatto il lavoro ad arte mantenendo una consecutio con lo stile del precedente.
Buone sono le animazioni dello Studio Pierrot (quello di Uruseiyatsura per fare un nome), che sebbene si incentrino principalmente nelle partite di Go, riescono a dargli uno spessore molto elevato e non le fanno mai risultare ripetitive.
La palma del miglior lavoro va data però al regista Jun Kamiya (già regista in Neoranga e Blueseed), le sue riprese riescono a dare sentimento ad ogni partita, rendendo ogni movimento dei giocatori come un’assalto di una battaglia campale. Anche chi non ne capisce un acca di Go, riuscirà ad emozionarsi un po’ grazie alle riprese in primissimo piano sui personaggi fatte dal regista e questo è un merito per un anime che si incentra principalmente sulla staticità e non sulle azioni ad effetto.
Discorso a parte lo merita la colonna sonora di Key Wakasuka (Moldiver), che è il fiore all’occhiello di questa serie tv e andrebbe ascoltata a prescindere. Una così grande ricchezza di bgm, mai ripetitivi non si era vista neanche in produzioni a più elevato budget e di più grande successo.
La consiglio a tutti, ve l’avevo detto anche in un precedente Music News, ve lo ripeto, va ascoltata almeno una volta. Non a caso, in un mio recente viaggio a Milano ho avuto il piacere di ascoltarla per intero allo Yamato Shop e molti ragazzi tra i presenti si sono chiesti che colonna sonora stessero ascoltando.
Un giudizio finale? È un anime particolare di difficile interpretazione, può coinvolgere, può stancare per la ripetitività del plot narrativo, ma alla fine ai personaggi vi ci affezionerete.
Recensione di Massimo Valenghi
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