Fullmetal Alchemist: Il Conquistatore di Shamballa

Premessa.

Chiunque si interessi anche solo lontanamente di manga o anime non può non aver sentito parlare, almeno una volta, di Fullmetal Alchemist. Coloro i quali (c’è sempre qualcuno) negli ultimi mesi abbiano, invece, soggiornato sulla Luna, sono pregati di smettere di leggere questa recensione, annullare qualsiasi impegno per i prossimi tre o quattro giorni, rompere quel porcellino di creta dagli occhi languidi che sta lì a ingrassare sulla mensola da troppo tempo e precipitarsi nel più vicino negozio di fiducia per uscirne solo una volta agguantati i 12 DVD della Panini contenenti i 51 episodi della serie animata, di cui il lungometraggio “Il conquistatore di Shamballa” costituisce il capitolo finale.

Da Amestris alla Germania del ‘21

Nell’ultimo episodio della serie, l’alchimista d’acciaio Edward Elric, seguendo la legge dello scambio equivalente, sacrifica se stesso nel tentativo di riportare indietro suo fratello Alphonse, sparito nel Portale dell’Alchimia dopo aver tentato a sua volta (e con successo) di resuscitare Edward.

Ed finisce così al di là del Portale, dal mondo di Amestris a quello in cui viviamo noi, disposto in parallelo (con tanto di personaggi con nome e ruolo differenti) dove l’alchimia non funziona ma ve ne risiede la fonte: l’energia liberata dalla morte degli un esseri umani.

Alphonse, grazie al sacrificio del fratello, viene ritrovato sano e salvo su Amestris, anche se con il corpo di un bambino e senza il ricordo degli ultimi anni. I due fratelli sono così riusciti entrambi nel loro scopo di salvarsi a vicenda e, pur vivendo in mondi differenti, promettono che un giorno si rincontreranno.

Berlino 1923

Questo in (doverosa ed estrema) sintesi è il nodo da cui parte il film che, dopo una breve parentesi sulle tematiche di fondo sotto forma di racconto, ci mostra Ed al volante di un auto con Alphonse Heiderich, il “doppio” di Al nel nostro mondo, a cui l’ex alchimista si è legato nella speranza di poter capire di più su come tornare a casa. Alphonse Heiderich si occupa di razzi e il suo team è finanziato e usato (a sua insaputa) dai membri della Società di Thule, fanatici esoterici in odore di fascismo alla ricerca del perduto, utopico Regno di Shamballa che credono essere Amestris.

Siamo a pochi mesi dall’insurrezione del Führer, al quale Thule ha promesso nuove armi in cambio di fondi.

La Società riuscirà (con l’aiuto inconsapevole di Ed) ad aprire un varco per Amestris e a inviare una prima fanteria in armatura, sbaragliata poi dall’altra parte (nella città di Reole) da Alex Louis Armstrong e Alphonse Elric. Quando Ed si rende conto di ciò che ha fatto e cancella il cerchio alchemico, le armature ricadono dal portale e una di queste si scopre animata da un frammento dell’anima di Al, che può così finalmente riabbracciare il fratello in uno dei momenti più toccanti dell’intera pellicola.

Il golpe fallito

Dopo altre mille peripezie, Thule riesce ad aprire altri portali e ad organizzare un’invasione su larga scala. Mentre gli eserciti dei due mondi si combattono per le vie delle città di Amestris, su un modello di bombardiere a razzo progettato da Heiderich si affrontano a suon di trasmutazioni Dietlinde Eckart, capo della Società di Thule, Ed, Al e il redivivo Roy Mustang.

Alla fine Ed decide di sacrificarsi ritornando nell’altro mondo per distruggere definitivamente il varco, imponendo al fratello di rimanere, ma questi lo seguirà comunque nascosto (per la prima volta “fisicamente”) in una delle armature.

Con la mancanza delle armi promesse dalla Società di Thule, il golpe di Hitler fallisce, dando così il via a un “nuovo” corso della Storia. Nell’ultima scena, i due fratelli salgono a bordo di un furgoncino guidato dai paralleli del criminale Scar e dell’omunculus Lust, diretti verso nuove avventure.

In definitiva

Quanto avete appena letto rappresenta, in realtà, una fugacissima panoramica della sola linea narrativa di base; raccontare tutto in questa sede sarebbe risultato eccessivo e forzato, che poi, in definitiva, è anche il giudizio finale su questo Conquistatore di Shamballa.

Ma andiamo con ordine. Una delle prerogative di una serie animata è quella di poter tessere una ricca, intricata trama su una quantità anche elevata di personaggi, che andrà poi a riannodarsi filo per filo nel corso delle varie puntate.

Ovviamente devono essere fili di qualità e, in questo senso, Fullmetal Alchemist si è rivelata una delle più pregiate matasse di seta che siano mai state prodotte: la caratterizzazione dei personaggi splendida e ricercata (dal punto di vista storico e significante), i profondi temi trattati in modo maturo e la misteriosa, inusuale (per uno shonen) atmosfera tutta “europea” non si discutono. La complessa miscela steampunk si dipana per 51 puntate senza intoppi, animata (altra rarità) dallo Studio Bones senza mai ricorrere in maniera “raffreddante” alla computer grafica.

Cosa cambia, dunque, di tutto ciò nel film?

Nulla, tranne il fatto che è un film, un lungometraggio di 105 minuti e non una o un insieme di puntate da 20. Cambia il contenitore, la cornice ma (ahinoi!) non il quadro. Ne “Il conquistatore di Shamballa” c’è tutto Fullmetal, anzi ce n’è troppo: si ha la sensazione – non nuova in film tratti da serie (animate o meno) – che si voglia chiudere il tutto con un’unica “grande puntata”, senza contare la perdita di quei sottili ma essenziali equilibri che, reiterandosi ogni volta, costituiscono il fascino delle serie a episodi. Da questo punto di vista, Shamballa è molto simile a quanto (purtroppo) visto nei film (per citare esempi noti a tutti) de I Simpson e Futurama.

Più che un problema di trama, dunque, alla quale si può comunque storcere lievemente il naso per la trovata dei personaggi paralleli, in specie quelli già tragicamente morti su Amestris, il film fatica a livello ontologico, poiché pare non pensato per essere la fine di una (gloriosa) saga, ma un’affrettata rimpatriata di famiglia (i doppi di cui sopra) con l’inserimento di new entry (la zingara Noa) a cui non viene dato il tempo di delinearsi e di interessare come i “vecchi” protagonisti. Il tutto è poi massicciamente condito di legnosa computer grafica e catastrofi ad hoc solo per far scena sul grande schermo, che è poi la strategia tutta commerciale tanto cara a quei produttori che preferiscono i “sondaggi-quale-personaggio-vuoi” alla buona e vecchia, magari non così “popolare”, qualità di un’opera.

Recensione di decca