Atto Secondo
“Cominciamo con le domande procedurali. Sai il tuo nome? Anche se è una domanda idiota, dimmelo.” domanda idiota. Persona idiota. Cosa idiota.
“Matthew… ah, il cognome ovviamente glielo dico nell’orecchio, se, facciamo conto, perdessi la memoria, voglio che pure gli sconosciuti mai visti mi compatiscano perché non ricordo il mio cognome, così da mantenermi a vita.” viva i ragionamenti a cazzo. Mi avvicinai di qualche centimetro al suo viso e sussurrai, sperando che non avesse sentito.
“Mh… secondo te questo è un gesto normale o anomalo, Matthew?” che odio. Fino a dieci minuti fa stava seduto sulla sua sedia chiamandomi con tutti i nomi possibili, ora deve fare il serio, seduto tutto composto, con lo sfondo giallognolo del muro, a chiamarmi come fossi un animale raro di cui piace il nome. Odioso.
“Per me normale, per la gente che non ha un minimo di senso dell’umorismo anomalo e da folli.”
“E così mi stavi dicendo che ti piacciono i ragazzi… giusto? E secondo te questa è una cosa anomala per chi non ha senso dell’umorismo o anche per chi lo ha?” incrociò le braccia, rimanendo piantato sulla sua sedia imbottita, guardandomi con un sorriso così incredulo da farmi sentire un matto, di quelli da manicomio per intenderci.
“Detta molto chiara… è così, mi piacciono i ragazzi, e credo, anzi, posso capire che per le persone è strano , forse eccitante… a volte mi sembra addirittura che la gente mi voglia bene proprio, ed anche solo, per questo. Più di una ragazza mi ha detto chiaramente che voleva un amico gay. Sono così esplicito, scoperto, per caso..?” risposi rimettendomi seduto, rivolgendogli poi un’occhiata interrogativa, a lui, all’uomo che pochi minuti prima, forse qualche secondo prima, consideravo un completo idiota. Ma che era cambiato in così poco tempo?
“Capisco… pensi che i tuoi amici ti vogliano bene solo per questo, quindi? Oppure ‘la gente’ è per indicare gli sconosciuti? Ah, e… dall’atteggiamento no, da ciò che dici sì. Sei un libro aperto.” mi fermai un momento ad osservare una delle tante cornici appese dietro di lui: una sua foto da giovane con una ragazza: sorridenti, spensierati… forse sarebbe il caso anche per me di smetterla con tutte queste scene… pensare ad una ragazza, forse dopotutto… potrei…
Lo guardai negli occhi, facendo mente locale sulla sua domanda.
“Chiaro… comunque è per indicare tutti, amici e non…”
“I tuoi amici sono sinceri?” la stanza fece un giro su sè stessa, quella domanda mi disorientò non poco…
“A volte… forse… alcuni sì.”
“Però non ne sei sicuro.” cercai di trovare una posizione più comoda sulla sedia, diventata improvvisamente piccola e soffocante. Proprio come la stanza.
“Su alcuni sì… ma non riesco comunque a fidarmi.” sentii una fitta allo stomaco, seguita da un brontolio. Nervoso o fame?
“Perché?”
“Non lo so…”
“Lo sai, ed il fatto che sei nervoso ne è la prova.”
“Non è vero!”
“Ti spaventa il motivo?”
“No.”
“E qual’è?”
“…” cazzo. Se ci ripenso ancora mi chiedo come abbia fatto a fregarmi.
“Ho brutti ricordi, brutti amici…” abbassai la testa, guardandomi le scarpe dondolare allegre sul pavimento.
“Ex… amici?”
“Ovvio…”
“No, per niente. I brutti amici si hanno quando si è soli. E sono sicuro che tu lo eri.”
“E come faresti ad esserne così sicuro?”
“Bè… perché più ti parlo, più mi accorgo che hai costruito un tuo piccolo mondo, con un solo posto libero. Quasi come un autistico, rifiuti questo mondo ed agisci secondo le tue regole, secondo ciò che il tuo mondo preferisce.” lo osservai per qualche istante. Se fossi stato sincero, probabilmente non ci sarebbero stati urli nella registrazione. Non troppi perlomeno.
“Ma che cazzo stai dicendo?! Io non sono autistico, e non mi avvicino nemmeno un po’ a quello che hai detto!” bugia, bugia, bugia.
“Ah no, eh?” e lui sapeva che avevo detto una bugia, bugia, bugia.
“No.” continuai ancora a fingere, immobile sulla sedia, impassibile.
“Allora spiegami per quale motivo da freddo e chiuso ora sei cambiato così, guardati, combatti con le emozioni, e dici bugie per non farti scoprire da me, che ti ho capito senza che tu dicessi chissà cosa.”
“Non sono cambiato e… oh, fanculo!” mi alzai, dando un calcio alla sedia, arrivato al punto limite, vedendo il suo sorriso compiaciuto stampato perenne, qualunque cosa dicessi.
“Se volevi una vendetta, tiettela, ora la hai! Tie’, sono un tuo paziente ora, peggiore di te, contento?! Adesso cosa vuoi dimostrare?! Dai, su, forza!” mi voltai di scatto, ansimando e gesticolando teatralmente con le mani.
“Ma io non voglio dimo…” tutto inutile. Ancora quel sorriso che spiegava in maniera perfetta ciò che pensava di me. Potevo guardare da ogni punto di vista, ma da ogni parte avessi provato, avrei visto solo compassione per me. Pensandoci, il suo pensiero più probabile credo fosse una cosa simile a ‘Povero sfigato del cazzo… ma fai un favore al mondo e sparati.’
“SMETTILA DI FARE COSÌ! MI DAI SUI NERVIII!” finii la frase ansimando, la gola ormai in fiamme, quasi l’avessi strappata via a mano, il viso che iniziò ad incendiarsi a sua volta, accorgendomi della figura da folle che avevo appena fatto. Urlare troppo fa tanto male.
“Ti va di fare una pausa, Mat? Dopo tanti urli ti ci vuole un thè caldo! Che ne dici?” sentii il sangue nelle vene diminuire di pressione, facendo così riprendere il flusso di pensieri nella testa, tra cui l’idea che l’uomo davanti a me fosse sicuramente un idiota.
“…”
“Che ne dici?”
“… idiota. Ma come puoi chiedermi se voglio un thè mentre ti urlo addosso?!” mentre sentivo la mia voce abbaiare ormai, più che urlare, guardai incredulo Lorenzo – nome da checca, secondo me – ridere fragorosamente, con tanto di lacrimuccia al viso. Razza di idiotabastardodeficientecretinostronzocodardoschifosoapprofittatore.
“Vabbè! Io lo vado a prende, poi se non lo vuoi, aspettame qua.” si alzò dalla poltrona, spingendo il piccolo tasto Stop sul registratore in miniatura. Mi accorsi di avere ancora la bocca aperta solo quando chiuse la porta, lasciandomi davvero solo là dentro; con i miei pensieri, la mia rabbia, il mio sistema nervoso andato a camporella e… la mia ritrovata voglia di vivere sfidando i miei problemi.
Osservai per qualche istante la porta di legno massello, color nocciola, intagliata a forme quadrate in rilievo. Mi persi nell’intreccio ai bordi della stessa, pensando se fosse il caso di andare a calmarmi e parlare come una persona normale alla macchinetta del caffè.
– Non è stata una bella idea urlargli addosso… lo dirà a chiunque lo vorrà sapere ora. Ne sono sicuro. – il rombo confuso dei pensieri lasciò posto al silenzio quando immaginai mia madre ascoltare cosa avevo fatto e cosa avevo detto. O sarebbe scoppiata a piangere oppure avrebbe iniziato a guardarmi come un pazzo. La seconda era molto più probabile. Ovviamente più pazzo di come mi guardava, cioè… non che fosse stato possibile, però più pazzo.
Come un coglione con la testa rotolata giù dalle scale. Ecco.
Mi salì un’angoscia insopportabile, mia madre era forse l’ultimo dei miei pensieri. Dovevo ammettere che quell’uomo sapeva dove e come toccare i punti critici delle persone, e di certo non avrei potuto tenergli testa in quello stato di confusione totale.
Rischiavo seriamente di cadere e permettergli di entrarmi nel cervello… cosa avrebbe fatto? Come mi avrebbe cambiato? A me piacevo così, mi andavo bene, avevo i miei problemi e difetti, i miei pregi e cose bellissime, i miei amori, i miei dispiaceri… avrei dovuto ignorarlo, ma non riuscivo a farlo, non riuscivo ad evitare che le sue parole riempissero enormi parti della mia testa.
– I tuoi amici sono sinceri?… Hai il tuo mondo, quasi come gli autistici… Secondo te questa è una cosa anomala per chi non ha senso dell’umorismo… – mi alzai, continuando ad osservare il pavimento coperto di tappeti larghi, elaborati all’inverosimile, quasi i disegni contorti su di essi potessero esprimere i miei ragionamenti.
“Bastardo…” misi le mani in tasca, nella felpa arancione e gialla che indossavo, distesi la fronte, aprii gli occhi e mi concessi un sorriso. Dovevo rimanere allegro, felice, senza farmi abbattere da gente che tentava di farmi rientrare nella normalità.
– Mi ha convinto solo che ho un mondo mio, nient’altro. –
Uscii dalla stanza, ritrovandomi il piccolo corridoio di marmo bianco, venato mattonella per mattonella. In fondo a questo stava lui, chinato a prendere il thè fumante dalla macchinetta, appoggiata al muro, accostato a diverse porte di legno color ciliegio, disposte ai lati dello stretto passaggio. Chiusi la porta dolcemente, attirando comunque la sua attenzione, visto che prese a frugarsi nelle tasche rivolgendomi un sorriso addirittura umano.
“Quanto zucchero vuoi, Matthew?” mi diressi quasi saltando verso di lui, con la voglia di sfidarlo e fargli vedere che non mi aveva neanche sfiorato con le sue parole.
“Me ne bastano quattro palline.” mi fermai vicino a lui, il quale mi osservava mentre la macchinetta lavorava. Il primo a parlare fu lui.
“Sai… stavo pensando… il tuo nome, Matthew, è come quello del ragazzo gay ucciso a forza di botte. Shepard credo facesse di cognome… sì, dev’essere così. Conosci la storia?” mi fermai ad osservarlo incuriosito. Sicuramente è documentato sugli omosessuali, quindi le cose potevano essere due: o era un gay frustrato che non voleva ammetterlo, oppure era un omofobo che al giorno faceva il bravo psicologo e la notte si vestiva stile naziskin e andava a picchiare a caso persone che secondo lui erano gay. Tuttavia, a pensarci bene… potrebbe essere anche che è – perché è ancora vivo eh, non è morto… sfortunatamente – uno che sente le notizie a caso, ed ha culo di poterle far vedere come cose ricercate e studiate a fondo.
Svuotai la mente e parlai senza pensare a ciò che dicevo.
“Già… Matthew Shepard… dicono che era un ragazzo molto dolce, pensi che io gli somigli? O pensi che farò la stessa fine?” per quando ricollegai il cervello, trovai lui che sorrideva dolcemente, guardandomi con i suoi immensi occhi verdi.
“Penso che tu sia fin troppo dolce e sveglio, e fidati che è un complimento.”
Se c’è una cosa che mi ha colpito davvero nel profondo, nei vari giorni in cui andai da lui, è stata la sua sviluppatissima capacità di cambiare – e far cambiare agli altri – il comportamento e i modi; passare da serio, a crudele, a dolce, per poi di nuovo serio, per poi di nuovo dolce… e se prima credevo di essere un idiota che non riusciva a capire i sentimenti delle persone, e percepire appena i pensieri, ora mi sento in grado, quasi come lui, di affondare le mani nel cuore e nella mente delle persone. Eppure ciò mi fa triste… perché le mie persone più care sono tremendamente a rischio per questo.
A volte basta un fiore per conquistare un mondo, anche se questo è fatto di una sola persona da amare.
wow
no non può essere finita così
secondo me Met e Lore dovevano diventare amanti