Brothers

Tre gemelli legati da un vincolo profondo: Anko, Shunpei e Kyoei sono i protagonisti dell’ improbabile triangolo che il coreano Tajima ci propone sulle pagine del suo “Brothers”.

Se vi sembra familiare (“Georgie” n.d.a.) vi sbagliate: “Brothers” non è un drammone in salsa shojo ma una commedia irriverente che sembrava possedere tutti i requisiti per diventare un’inattesa e gradita rivelazione.

La vicenda della graziosa Anko, dell’ irascibile Kyoei e del mite Shunpei, si snoda tra le mura scolastiche e domestiche. I tre, orfani di madre dalla nascita, condividono gioie e dolori della loro vita (compresa la disgrazia di avere un padre completamente fuso che si diverte a fare lo 007, sparendo e riapparendo nella vita dei suoi figli nei momenti più inaspettati e cruciali).

Tra professori-terminator, teppisti vendicativi, musica punk e adolescenti di dubbia identità sessuale, il rapporto fraterno inizia a diventare stretto ai tre che, seppur diversamente, si rendono conto delle proprie proibitive inclinazioni.

Così Shunpei e Kyoei si ritrovano a rivaleggiare tra loro all’ insaputa dell’ ingenua Anko che, dal canto suo, conscia dell’ attaccamento morboso ai due, sembra essere l’unica a rendersi conto dell’ assurdità della situazione.
Precipitando nel dubbio amletico di come mai si potrà evolvere la situazione, ecco che Tajima, facendo il verso proprio ad uno dei temi più gettonati in ambito shojo, introduce validi elementi che portano i due fratelli a dubitare del fatto che Anko sia la loro vera sorella…

“Brothers” parte benissimo tra situazioni irresistibilmente comiche contrapposte al tono intimista della narrazione di Shunpei, una grafica particolarissima che si adatterebbe alla perfezione, considerato lo spiccato dinamismo del tratto di Tajima, ad una “Yakuza-story”, personaggi volutamente estremi e un plot certo non originale ma che, per la prima volta, sembra essere affrontato senza tabù. Il primo volume della “saga familiare che più ha fatto discutere” è un piccolo capolavoro, un racconto spassoso e avvincente in cui trova posto anche la tipica laconica atmosfera delle commedie scolastiche più delicate.

Purtroppo, nel corso della storia, Tajima risulta inconcludente, sembra avere delle difficoltà su come portare avanti la vicenda che viene stemperata da una sceneggiatura sconclusionata fino ad un epilogo che non accontenta ne scontenta nessuno dei protagonisti ma che di sicuro lascia molto da obiettare a chi legge.

L’impressione è che l’autore abbia voluto divertirsi e misurarsi affrontando una vicenda dai contorni shojo, tentando di dissacrare alcuni tra gli aspetti peculiari del genere.

Vero che il racconto non avrebbe potuto avere finale differente ma ci troviamo di fronte ad un epilogo che riporta tutto a come era iniziato. Questa potrebbe anche essere la scelta consapevole di un autore che, in nome di un certo realismo, rifiuta i canoni del classico fumetto d’evasione.

Anche graficamente si assiste ad un peggioramento via via che la conclusione si avvicina: il tratto diventa scadente e le vignette risultano approssimative e poco curate, l’ultimo volume è deludente anche da questo punto di vista.

Da apprezzare e sottolineare l’indubbia abilità di Tajima nel caratterizzare efficacemente i suoi personaggi. Dai tre protagonisti principali all’ intero “contorno faunistico” (il professor Nega su tutti) su cui l’autore punta tutto il suo umorismo.

Un plauso di dovere alle bellissime tavole a colori d’apertura nelle quali Tajima conferma il suo accattivante e personalissimo stile.
In definitiva un lavoro riuscito a metà (notevole fin dove è riuscito) che apre la strada alla pubblicazione dell’ osannato “MPD-Psycho”, violento manga poliziesco-horror che la Planet Manga aveva annunciato per gli inizi del 2004.

by settedark