Metropoli

Caduta

A Kira, l’altra mia metà della luna…

I’m so blue ‘cos I’m gray.

– M o F?
– M.
“Ecco qui, ho beccato l’ennesimo maschio, solo noi possiamo fare certe domande idiote… ma avrò il lanternino?”.
– Ah, ok… ma te non me lo chiedi?
– No, so già che sei M.
– E come? Mi leggi nel pensiero o guardi attraverso lo schermo? XD
“Dio stasera ne ho beccato uno che più banale non si può, mi verrebbe quasi da chiudere la finestra… no vabbè, magari mi sbaglio.”.
– Forse…
– Allora ti andrebbe di vederci meglio? Sai ho una cam…
“Non mi sbagliavo, che palle!”
– Non mi diverto in cam.
– E dal vivo allora?
– Già va meglio, ma non è serata… mi spiace, ciao^^
“Figuriamoci, mi fa ancora male il culo dall’ultima volta.”.
Il ragazzo chiuse velocemente la finestra di chat aperta con il relativo programma e, a seguire, spense il portatile che lasciò sul tavolino del piccolo monolocale in cui viveva e che gli faceva da tavola da pranzo e scrivania. Si alzò con indolenza, stiracchiandosi, per andare in bagno dove, dopo essersi sciacquato il viso, si guardò allo specchio del lavandino.
Capelli biondi, occhi azzurri, lineamenti regolari… non c’era tanto da discutere: Naruto Uzumaki era piuttosto carino. Sarebbe stato addirittura bello, se non fosse stato per quell’espressione mesta e dispersa che gli aleggiava sul volto, distorcendone i tratti.
Da quando era approdato in quel posto se la ritrovava addosso sempre più spesso. Sembrava che l’aria grigia e maleodorante della città ne avesse permeato le fattezze, che fosse giunta a toccarlo e corromperlo fin nel profondo dell’anima.
Per lui, che aveva vissuto i suoi primi diciannove anni di vita in un piccolo paese immerso nella campagna, e alle cui porte si stendevano infiniti campi di grano e mais, l’incontro-scontro con la realtà della metropoli era stato piuttosto duro.
Era riuscito ad evadere dalla sua realtà provinciale grazie ad una borsa di studio guadagnata con immensi sacrifici e che gli aveva permesso di accedere alla migliore università della capitale e, ovviamente, nei primi tempi passati in città, aveva provato una grande sensazione di libertà e potenza. Finalmente poteva girare tranquillamente per la strada, senza doversi preoccupare che l’impicciona che abitava davanti alla bottega del fruttivendolo stesse lì, a sbirciare ogni minimo movimento di chi vi passava di fronte per poi spettegolarci su; oppure che chiunque, nel giro di mezz’ora, sarebbe venuto a conoscenza della sua ennesima stupidata, in quel paese talmente bigotto che ogni cosa che andava fuori dall’ordinario era considerata tale. In quella metropoli invece si sentiva libero da quelle catene e dalle limitazioni che comportava il vivere in un piccolo paesino dove tutti si conoscevano.
Camminare tra le vie grigie e tutte simili tra di loro, in mezzo alla massa, anch’essa grigia, che si muoveva come un sol corpo nella stessa direzione, gli dava una sensazione d’onnipotenza. Nessuno lo conosceva, nessuno sapeva nulla di lui, poteva comportarsi nel modo che preferiva. Avrebbe potuto essere un killer che andava a sterminare una famigliola innocente e nessuno lo avrebbe minimamente sospettato; oppure il killer poteva essere la ragazza dalla gonna troppo corta e ammiccante che sedeva a fianco a lui sulla metro. A ben pensarci era un pensiero agghiacciante, eppure a lui piaceva; gli piaceva quell’anonimato e quell’assenza di individualità che gli assicurava una città così grande. Lo faceva sentire al sicuro, protetto, alla fine risultava quasi cullante, ipnotico, lasciarsi trascinare a quel modo insieme al gregge.
Tuttavia questa era stata la reazione entusiastica dei primi mesi, in cui continuava ad andare in giro camminando ad un metro da terra, con gli occhi sgranati dalla felicità, ansioso ed impaziente di conoscere tutto quello che la realtà intorno a lui aveva da offrirgli… qualsiasi cosa, si sentiva pronto a tutto. Era così euforico e su di giri che non gli interessava nemmeno più di tanto la condizione d’isolamento che pativa all’università.
Tutto ciò accadeva per l’appunto nei primi tempi. Ora, a quasi un anno di distanza da che si era trasferito, sorrideva amaramente al ricordo della sua ingenuità iniziale che via via, col passare dei giorni, era andata sfumando sempre più.
Era iniziato in modo subdolo, senza che quasi se ne accorgesse. La mattina non si sorrideva più allo specchio facendo facce buffe mentre si lavava i denti o spalmava la schiuma da barba; aveva iniziato a trovare sgradevole l’odore asettico e paludoso dell’aria condizionata della metropolitana e, mentre vi viaggiava, leggeva, non si guardava più attorno come a voler carpire con quegli occhi innocenti e puri ogni fotogramma, ogni palpito di vita che lo circondava. Erano stati tutti piccoli cambiamenti, talmente graduali che non se ne era reso conto, e che alla fine erano sfociati in qualcosa di più grande che aveva iniziato a sovrastarlo.
Ogni cosa era diventata un peso, qualcosa di difficile da fare: andare al supermercato, cucinare, pulire la casa, andare in giro per la città e non trovare un luogo, un solo posticino familiare, qualcosa che gli ricordasse il calore di casa. Tutto era così anonimo, uguale, grigio e dai contorni confusi che non riusciva a stabilire una connessione, un legame che glielo facesse divenire caro, così con i luoghi come con le persone. Lui era stato sempre una persona solare, in grado di fare amicizia in pochissimo tempo, aveva una personalità che attirava il prossimo eppure lì, in quella metropoli dai colori smorzati, non funzionava. Se usciva, trovava difficilmente qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere, più che altro qualche vecchietto al parco. Se entrava in un locale o in un semplice bar, non appena iniziava ad attaccare bottone con le ragazze queste lo liquidavano, credendo che avesse l’intenzione di rimorchiarle, i ragazzi invece non erano interessati a fare conversazione. All’università invece, luogo che si presupponeva dovesse essere pieno di giovani con cui poter parlare, se possibile era ancora peggio.
Naruto era un orfano che veniva da una piccola cittadina di provincia da cui si era allontanato grazie ad una borsa di studio. Non possedeva qualità intellettive di spicco, a parte una forza di volontà ed una costanza straordinari che gli avevano permesso di arrivare sin lì, né aveva conoscenze altolocate, e in quel luogo pieno di ricconi snob e figli di papà che si conoscevano tutti l’un l’altro veniva emarginato e considerato come un paria. Lui aveva osato entrare con la forza nel loro universo elitario, portando scompiglio nella loro quotidianità. Era rumoroso, non conosceva le buone maniere e, come se ciò non fosse stato sufficiente, faceva mille domande ai professori durante le lezioni, spesso mettendoli in difficoltà quando controbatteva alle loro conoscenze dogmatiche invece di stare quieto e lasciare che il sapere fluisse dai docenti fino agli studenti, piccole spugne che non dovevano far altro che assorbire tutto lo scibile. Nessuno gli aveva mai insegnato che le regole della società non possono essere cambiate? Che per quanto il mondo girasse e andasse avanti, le cose rimanevano sempre le stesse? Il popolo doveva stare da una parte e ci sarebbe sempre stato qualcuno al di sopra, come loro, che l’avrebbe guidato come fa un pastore con un bravo gregge di pecore. Evidentemente no, per questo Naruto veniva considerato una spina nel fianco da tutti, professori e coetanei.
Se questa situazione, pesante per chiunque, all’inizio era riuscito a tollerarla e ad andare avanti per la sua strada in virtù del suo ottimismo, della fiducia che nutriva in se stesso e per il pensiero del sogno che voleva realizzare con le proprie forze, mano a mano che andava avanti, lo spirito grigio e annichilente della metropoli si faceva spazio dentro di lui e lo schiacciava.
Era diventato frustrante non potere chiacchierare liberamente, né all’università, né fuori. La solitudine, un mostro che aveva sempre temuto, era divenuta la sua più intima compagna. Colei che lo teneva costantemente per mano mentre camminava, la meretrice con cui dormiva e che se lo scopava a morte, ed era sempre con quella sgualdrina a fianco che si svegliava ogni mattina in cui il sole faticosamente cercava di penetrare la spessa cortina di smog che avvolgeva il suo attuale mondo. Era l’unica che gli stesse accanto senza nemmeno pretendere nulla in cambio a parte un pezzetto del suo essere, togliendoglielo giorno dopo giorno, ora dopo ora; e lui la odiava, la odiava con tutte le sue forze! Non lo lasciava mai solo, era sempre là ad avvolgerlo con le sue spire rammentandogli così la sua presenza, a chiedergli di donarlesi, lo tormentava in ogni momento, persino quando studiava, oramai era diventata sfrontata.
Infatti se almeno all’inizio, buttandosi a capofitto sui libri e col pensiero fisso del suo sogno, era riuscito a tenerla a bada, dopo un po’ non aveva più funzionato. Lei era diventata ancora più invadente, gli si insinuava tra i pensieri senza chiedergli il permesso e cresceva nella sua testa, nel silenzio che lo circondava come una piccola fiammella che grazie ad un po’ di vento riusciva a divenire un incendio.
Per questo motivo, per trovare una valvola di sfogo, aveva fatto l’unica cosa che ancora non aveva provato: aveva iniziato a frequentare le chat pubbliche.
Da tempo possedeva un portatile e gli piaceva molto girovagare per internet, ma aveva sempre evitato quei posti giudicandoli un’alcova di fissati che, troppo spesso, rifuggivano da una realtà ostile che li circondava, per parlare solo con persone che condividevano il loro stesso punto di vista e che quindi non gli avrebbero potuto né voluto dare contro; un po’ come i tanto odiati compagni di università. E lui non aveva bisogno di una stupida realtà virtuale, lui preferiva la vita reale, con amici in carne ed ossa, persone con cui parlare e confrontarsi, come quelle che aveva lasciato al suo paese.
O almeno questo era quello che credeva. Infatti da quando era partito li aveva sentiti sempre di meno e, ogni volta che ciò accadeva, aveva come l’impressione di parlare con dei marziani! Oramai era inutile continuare a far finta di non vedere la realtà, era chiaro che si trovavano su due pianeti differenti: loro erano rimasti nella loro piccola realtà provinciale mentre lui era andato avanti… troppo. O forse, a dispetto di quanto credeva, era lui ad essere rimasto indietro.
E adesso era solo.
Maledettamente solo.
Così, alla fine, si era ritrovato ad accendere il portatile per proiettarsi nel mondo, fino ad allora tanto denigrato, delle chat. Un universo parallelo che viveva di regole proprie, anche se forse sarebbe stato più giusto dire che ne aveva ben poche e una sola era fondamentale:
Niente è mai come appare.
Ma purtroppo Naruto a quei tempi non ne era a conoscenza.
Si era lanciato in quella surreale avventura con lo stesso entusiasmo che aveva sempre riservato prima di allora alla vita reale, andando alla ricerca di forum e chat dove si parlasse di argomenti che gli interessavano, ed era stato veramente divertente! Finalmente aveva delle persone con cui comunicare, certo non era come farlo a voce però non poteva certo fare lo schizzinoso, bisognoso com’era di un qualsiasi contatto con qualcuno in quella città fredda tanto quanto i suoi abitanti.
Alla fine si era abituato quasi subito, non aveva paura a postare o ad iniziare una conversazione con uno sconosciuto. Oramai il pc era sempre acceso quando era a casa, gli teneva compagnia in ogni momento, ad esempio come quando mangiava o faceva le pulizie. Persino quando studiava lo era e, sebbene non lo usasse, il solo vedere lo schermo illuminato accanto a sé lo faceva stare più tranquillo, gli sarebbe bastato allungare un braccio e avrebbe trovato qualcuno che sarebbe stato lì ad ascoltarlo, anzi a leggerlo. Finalmente capiva cosa provassero coloro che si rifugiavano in quel mondo virtuale e, sebbene per convenienza, non li denigrava più, in quanto tutto questo lo aveva aiutato a tollerare la solitudine. Così, rinfrancato da quegli ectoplasmi dell’etere che gli facevano compagnia, era riuscito a stringere i denti e ad andare avanti per la sua strada, continuando ad impegnarsi nello studio, deciso a sopportare ogni cosa per raggiungere il suo sogno, raggiungere la vetta e dimostrare che lui non era da meno di nessun altro!
Passato non troppo tempo dal momento in cui aveva iniziato a chattare, qualcuno gli aveva proposto un incontro dal vivo. Sul momento era rimasto basito, non riusciva a crederci: finalmente sarebbe potuto uscire con qualcuno, usare le proprie corde vocali per una conversazione faccia a faccia! Dire che a quella prospettiva era entusiasta era un eufemismo e quindi, senza pensarci troppo, aveva accettato immediatamente, ritrovandosi il venerdì sera stesso davanti ad un locale a stringere la mano al fantomatico F4b, che non era altri che un simpatico trentenne, piuttosto alto e di bell’aspetto, con la speranza di passare una piacevolissima serata.
Prima avevano cenato assieme e poi erano andati al bowling. Avevano riso molto e Naruto si era sentito vivo come non gli succedeva ormai da molto tempo, aveva sentito riaccendersi dentro di sé una nuova speranza: forse, in fondo quella città non era poi così male, aveva o no appena conosciuto un amico…?
Così alla fine, quando l’altro lo aveva riaccompagnato in macchina, l’aveva invitato a salire senza notare il sorriso malizioso e compiaciuto apparso sul suo viso, troppo intento a cercare di infilare la chiave nel portone del palazzo dopo le due birre scure che si era bevuto. Una volta in casa si erano seduti vicini, sul divano, a chiacchierare e bere ancora, e quando per il troppo caldo si era tolto la maglia pesante, rimanendo con quella di cotone a maniche corte nera, aveva sentito la bocca del ragazzo schiacciata contro la propria e la sua lingua cercare di introdursi a forza tra le sue labbra.
Era rimasto scioccato, rigido come una statua di marmo.
Cosa stava accadendo? Perché il suo nuovo amico lo stava baciando e perché lui non trovava la cosa poi così spiacevole? Colpa delle birre? Forse… fatto sta che, non appena si era ripreso un attimo, lo aveva allontanato, ma il trentenne non si era dato per vinto e lo aveva abbracciato e ripreso a baciare, sordo alle sue richieste di lasciarlo andare, iniziando addirittura a carezzarlo dovunque riuscisse a mettere mano.
Naruto si era sentito strano. La testa gli girava, era debole, cedevole, era evidente quanto poco fosse abituato all’alcol eppure c’era dell’altro; per quanto potesse mentirsi sapeva che c’era qualcosa in più a farlo stare così.
Era il calore.
A scaldarlo era il sentire qualcuno così vicino a sé, che stava condividendo con lui la sua vicinanza, che non lo stava facendo sentire solo e, se anche fosse stato per poco, non sarebbe importato. Immaginava che l’altro lo stesse solo sfruttando per i propri scopi, che di sicuro quello non era l’inizio di un grande amore, ma che importava? Se le cose funzionavano così, allora si sarebbe adeguato. Anche lui avrebbe preteso quello che gli serviva, anche lui lo avrebbe sfruttato, si sarebbe aggrappato a qualsiasi cosa pur di rimanere a galla e andare avanti, non poteva lasciarsi sconfiggere, doveva ancora dimostrare a tutti il proprio valore, o no?
E così, aiutato anche dall’alcol che gli facilitava pensieri del genere, aveva smesso di dibattersi e aveva corrisposto al bacio, partecipando attivamente all’atto sessuale che si stava compiendo. Era la sua prima volta con un uomo, fino a quel momento non aveva badato molto a cose come la propria sessualità eppure, mentre stava su quel divano, aveva dovuto ammettere che era parecchio eccitante sentirsi toccare il sesso duro facendo al contempo lo stesso all’altro. Gli stava piacendo e, sebbene avesse protestato quando aveva avvertito delle dita umide farsi strada dalla sua apertura, non si era tirato indietro, oramai sarebbe andato fino in fondo, aveva deciso. Nonostante questo, nel momento in cui aveva sentito il membro coperto dal preservativo dell’altro entrare, facendogli un male terribile, si era chiesto perché diavolo lo avesse lasciato fare. Ma quando il dolore era scemato, e alla fine aveva raggiunto un orgasmo dolce-amaro, appagante, soddisfacente, un sorriso aveva inarcato le sue labbra mentre ricadeva esausto tra i cuscini del divano.
La mattina seguente si era risvegliato anchilosato e dolorante per la nottata non passata nel letto e per la scopata che si era fatto. Guardandosi intorno aveva scoperto di essere solo.
Lo sapeva che sarebbe successo, come immaginava anche che F4b non lo avrebbe richiamato, altrimenti non se ne sarebbe andato a quel modo, ma allora perché si sentiva così triste, deluso… di nuovo freddo?
Con quello stato d’animo era andato a farsi una doccia bollente che però non lo aveva scaldato come aveva fatto quello sconosciuto la sera prima, era altro quello di cui aveva bisogno e, ora che lo sapeva, probabilmente ne avrebbe cercato ancora.
Aveva due opzioni: mentirsi e dirsi che era stato tutto uno sbaglio dovuto all’ubriacatura, continuando ad andare avanti da solo, a lasciarsi schiacciare a poco a poco dalla solitudine; oppure cercare nuovamente quelle emozioni, quei contatti e cercare di sfruttarli per riuscire a non andare a fondo e a proseguire per la sua strada, con la speranza che la sua tenacia sarebbe stata un giorno ampiamente ricompensata con la realizzazione del suo sogno, e magari… magari con qualcuno che lo avrebbe amato e da amare.
Lui non era un codardo, non aveva paura, non si sarebbe sottratto. Sapeva tutte queste cose, se le era lette in faccia, nella durezza e nello scintillio dello sguardo azzurro cupo mentre si era specchiato al piccolo vetro sopra al lavandino, e se le vedeva ancora adesso, a distanza di qualche mese da quando erano iniziate le sue avventure, sebbene leggermente velate dall’apatia e dal grigiore cittadino. Era ancora lì nonostante tutto e avrebbe proseguito un passo dietro l’altro, accumulando dietro di sé errori, esami, voti, squallide scopate e amanti occasionali… lui era uno che non si tirava indietro, doveva solo evitare di dare ascolto a quella piccola vocina che la notte, quando era da solo, senza studio, senza chat e senza qualcuno a scaldarlo, gli diceva che aveva paura, che era stanca.
Non era poi così difficile… o no?

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Miei cari è con orgoglio che vi presento la mia prima AU!!!
Non so perché ma ho grosse difficoltà a scrivere o a farmi venire idee sui personaggi al di fuori del loro contesto originale.
L’occasione per cimentarmi in quest’impresa titanica me l’ha data iaia con suo chat contest a cui sono arrivata seconda e ho vinto il premio attinenza *O*: qui il link

Sinceramente non so ancora bene cosa pensare di questa storia che all’inizio doveva essere una one-shot, poi si è decisamente trasformata in una long da ben sei capitoli.
È ambientata ai giorni nostri, in una delle tante metropoli che affollano il nostro pianeta e che alla fin fine si assomigliano un po’ tutte; possono cambiare la bellezza o la storia della città ma alla fine in loro aleggia sempre solitudine e grigiore. Non potrebbe essere diversamente in agglomerati dalle dimensioni così enormi. Non ho voluto quindi dare apposta delle precise indicazioni su dove fosse ambientata e in che stagione, il lettore può immaginarsi la città che desidera.
Per quanto riguarda i caratteri dei protagonisti ne parlerò di volta in volta che appaiono. Qui abbiamo incontrato Naruto per cui mi sono orientata più sul suo lato diciamo “oscuro” comunque quello negativo e chiuso che ci viene presentato nella prima serie del manga, prima che Iruka lo accettasse e che, sebbene condito da una buona dose si strafottenza e allegria, rimaneva pur sempre piuttosto triste. Insomma non il solito ottimista e indistruttibile che conosciamo nel manga di oggi. È stato un po’ un azzardo, ammetto che più di una volta ho temuto di essere andata OOC sia con lui che con gli altri, per questo vedere nel giudizio che ho ottenuto punteggio pieno nell’IC mi ha fatto saltare sulla sedia XD
Che altro dire? Ah sì! Ad inizio capitolo ci saranno degli estratti di canzoni, una sorta di introduzione per quanto seguirà poco sotto, specificherò di volta in volta canzoni ed artisti con la relativa traduzione. Qui nel primo capitolo invece c’è una frase scritta da me. La traduzione sarebbe “Sono così blu (depresso) perché sono grigio” ed è basata su un piccolo giochino di parole perché in inglese blue vuol dire sia blu che depresso.
Beh, ora penso di aver detto tutto, al prossimo capitolo!