Capitolo 1 – A precipizio nel buio
“Sei davvero sicuro? Vuoi davvero il potere dell’oscurità?” la voce tenebrosa fu come un grido, una minaccia alla mia vita.
Mi coprii gli occhi con una mano, cercando di non vedere nulla. Sapevo di essere la morte, io, che proprio in quel momento ero in bilico sul tagliente filo dell’esistenza e della non esistenza.
“Dimmi cosa ci guadagnerei a rimanere un semplice scienziato” risposi, guardando a terra.
“La sicurezza di non sentire il tuo cuore ridursi a brandelli di fronte all’oscurità, la certezza di non essere preda degli heartless” continuò lui, voltandosi per tornare dietro la sua scrivania.
“Hai un cuore debole ragazzo… ed il tuo contributo alle mie ricerche è un prezioso aiuto, di cui non vorrei fare a meno” si voltò, prima di sedersi, guardandomi con il suo ghigno sadico.
“Puoi rimanere sotto la mia protezione, se vuoi” ed avevo solo diciannove anni. Solo diciannove anni. Un’età così giovane, per commettere un errore così grande…
E per cosa poi? Per essere stato sopraffatto dai sentimenti. Da quella maledizione di cui ora ne rimpiango l’esistenza. Un modo così squallido per porre fine alla propria vita, eppure così immediato e semplice, così passivo come pensiero…
Ho sempre visto le mie congetture come una materia da plasmare, modificare a seconda del correre degli eventi… far vivere o uccidere a seconda dell’umore, o magari delle scelte obbligate a causa dei vicoli ciechi, della nauseante consapevolezza di perdere pezzi della mia esistenza, se solo avessi sbagliato una teoria, o una via da seguire.
E finora non avevo mai preso il sentiero sbagliato. Mai.
Tuttavia… la vita non è scienza, sfortunatamente, ed io ero – e sono – solo un semplice scienziato a cui avevano strappato dalle mani la volontà di vivere, per farla svanire nel nulla. Ciò che mi era rimasto… era la mia testa, ancora attiva nel pensare che un giorno la svolta ci sarebbe stata, un giorno sarei diventato famoso e stimato. Era il mio destino, eppure… senza affetti quale gioia ne avrei ricavato?
“La mia vita… che senso ha, ora?” dissi, più a me che a lui.
“Mi ha seguito fin da quando ero piccolo, ha deciso il mio futuro, ha deciso che io avrei lavorato per lui, e quando mi sono allontanato da lui per seguire te…” sentii il cuore preso in una morsa d’angoscia, sentendo il calore delle lacrime salire verso gli occhi.
“Ha ucciso chiunque avesse avuto un contatto con me… sperando io smettessi di vivere, sperando tornassi a seguire i suoi studi, smettendo di ribaltare le sue squallide teorie” passai distrattamente la manica dell’enorme maglione di lana blu scura – regalatami da Xehanort la prima volta che mi portò via dal laboratorio di Ansem, il giorno in cui fuggì anche lui – sul volto, asciugandomi le lacrime, cercando di non fargliele notare.
“È il mio unico scopo, ormai, far vedere al mondo le mie ricerche… lui deve scomparire, inabissarsi nella vergogna… scomparire” alzai lo sguardo, affrontando quello di Xehanort. La morsa d’angoscia stava perdendo presa, facendo posto alla decisione, al dolore della rabbia.
“È unicamente la vendetta che ti spinge, Zoine?” rimasi a fissarlo per alcuni secondi.
I suoi occhi rossi erano stranamente placidi, ed il suo solito ghigno era in quel momento un’espressione spenta, oserei dire triste. Fu scontato per me chiedermi se era per ciò che stavo per fare.
“Non lo so…” risposi sinceramente, un po’ per paura ed un po’ per indecisione. Il mio sguardo puntò nuovamente verso i mattoni rossi del pavimento della stanza, arredata con soltanto il tavolo, su cui erano appoggiati gli studi di Xehanort, ed un’enorme libreria dalle ante dotate di raffinato vetro, lavorato ai bordi con vari ghirigori a cerchio, simili a dei rami intrecciati. Il mobile circondava l’intera stanza, su tutti e quattro i lati, traboccando da ogni parte di volumi delle materie più oscure, più banali, più complesse… delle più disparate.
“Zoine, guardami negli occhi” ordinò lui. Probabilmente anticipai il suo pensiero, alla fine sapevo cosa mi avrebbe detto ora.
“Non con quegli occhi, Zoine, sai che odio i cerbiatti” disse lui. Cercai di dare una scrollata alla testa, in modo da non avere gli occhi lucidi.
Avevo – ed ho – la fortuna, o sfortuna, che dir si voglia, di avere un volto androgino, dagli occhi sottili e naso e bocca piuttosto piccoli. Ricordo che arrivato tra quelli che ora sono i miei compagni, alcuni affermarono che la cosa più maschile che avevo erano le orecchie, seppur piuttosto piccole anch’esse.
Forse per caso, o per fatalità, la mia statura è piuttosto bassa rispetto chiunque incontri. Per questo cercavo di non rovinare l’aspetto androgino sbagliando capelli. Il poter contare su una sorta di bellezza di tipo femminile aveva i suoi vantaggi.
Nella mia vita reale infatti, ricordo di aver avuto capelli lunghi fino a poco sotto il collo, raccolti in una coda da un elastico, mentre davanti una piccola frangia fatta di due ciuffi azzurrini cadenti poco sopra gli occhi.
“Dimmi la verità” Xehanort mosse alcuni passi verso di me, sfoderando nuovamente il suo sguardo risaputo.
“Stai fuggendo dalle tue paure, non è vero? Anzi… più esattamente… dalla paura che qualcuno, magari Ansem, possa nuovamente farti rivivere quell’incubo… la verità è che tu TEMI quell’uomo” non ressi il colpo. Pur sapendo esattamente che l’avrebbe detto, quelle parole furono come fredde lame dirette al mio cuore, pronte ad affondare e spingere sempre più a fondo. Scoppiai in lacrime, nascondendomi il volto tra le mani, vergognandomi di me stesso.
Alzai debolmente lo sguardo verso l’uomo in giacca nera e camicia bianca che avevo di fronte a me. Sorrideva più sadico che mai, forse soddisfatto di avermi letto dentro il cuore.
Mi voltai, tirando su con il naso e cercando di riprendermi.
Il buio, tuttavia, stringeva la presa sulla mia vita, in quel momento più che mai.
“Come pensavo…” furono le uniche parole di Xehanort. Pur non guardandolo, lo avvertii allontanarsi da me, dirigendosi verso un’anta della libreria, la quale percepii aprirsi. Tuttavia, mi ostinavo a non voltarmi, rimanendo a piangere in silenzio, cercando di sfogarmi. Mi strinsi nel maglione, unica cosa materiale legata ai sentimenti che io ricordi, seppure non ne capisca più il collegamento.
Se prima potevo contare sulle memorie delle persone a me care, ora… sono riuscito a perdere anche quelle.
“Prima di passare… tieni questo libro” la punta fredda di un libro si appoggiò sul mio collo, costringendomi a voltarmi e prendere in mano l’enorme libro che aveva lasciato cadere dalla sua mano. Nonostante la sua esagerata grandezza, era sorprendentemente leggero.
“Sebbene tu ora non capisca cosa c’è scritto, una volta che il tuo corpo avrà assorbito l’oscurità, ti sarà tutto facilmente comprensibile” notai solo in quel momento l’incomprensibile titolo di un acceso nero inscritto sulla copertina color porpora.
“Hai nulla da sistemare prima che io lo faccia?” chiese Xehanort, incrociando le braccia.
“Io non ho più nulla” mi asciugai le lacrime. Ero pronto.
“Molto bene…” si sfilò il guanto bianco, rivelando il braccio a scaglie, tendenti al violaceo, i quali andando verso l’interno sfumavano di blu. Osservando meglio, notai le vene pulsare vistosamente, nere come la pece.
Per un istante il sorriso abbandonò il suo volto, mentre un alone nero circondava lentamente la mano. Alcune scariche elettriche seguivano i
l percorso circolare dell’aura oscura; sebbene fossero lampi, sembrava che le scariche si collegassero al cuore, creando una sorta di collegamento tra quest’ultimo e l’alone d’energia. Alcune gocce nere caddero a terra, la mano rosso vivo sembrava stesse perdendo un liquido a metà tra sangue nero e una sostanza indescrivibile, ma che sembrava dare vita alla mano, la quale stava appassendo e schelettrizzandosi velocemente.
E poi… quella sensazione orrenda. L’oscuro, raggiungermi, avvolgermi e attanagliarmi il cuore. Fu come se qualcosa mi stesse entrando in gola, impedendomi di respirare.
“Lo senti ora, Zoine? Avverti il peso dell’oscurità?” sibilò Xehanort. Strinsi il maglione all’altezza del cuore. Era come se me lo stessero stringendo fino a farlo scoppiare, lo sentivo completamente soffocato dall’ombra dell’oscurità.
Fu la sua risata, quell’inquietante rumore, a farmi tremare dentro.
“Figliolo… preparati! Goditi l’oscurità! Adesso… è tua” un lampo di buio, ed il corpo si contrasse come in una morsa. Invisibili dita mi strinsero il cuore, il freddo percorse la schiena, arrivando come un alito sul collo, gelandomi; chiusi gli occhi, avvertendo ormai dolori lancinanti per tutto il corpo.
“Ah… fa… fa male… perché… PERCHÈ XEHANORT?” ansimai, cadendo dalla sedia. L’uomo di fronte a me non si mosse, sebbene il suo sguardo fosse nuovamente serio.
“Xe.. ha.. north… a… iu… to…” continuai a rantolare, non riuscendo a respirare.
“Ormai sei vittima dell’oscurità Zoine… accettala, non temerla… soffrirai meno…” le parole di Xehanort mi giunsero lontane, come le stessi solamente sognando.
“Xe… ha… north…” il cuore smise di battere dentro il mio corpo. Lentamente il dolore cessò, e gli occhi si spalancarono da soli, seppur la visuale fosse appannata. Osservai colui che fino a quel momento era stato il mio maestro, ora guardarmi sogghignando e tendendo una mano verso di me.
Tentai di parlare, non riuscendo a pronunciare nulla.
“Diventato un neo-shadow… interessante… come è la sensazione?” la sua mano protesa afferrò il mio collo, sollevandomi da terra e mettendomi su due piedi. Dondolai distrattamente la testa verso il basso, scoprendo la terribile realtà: avevo perso il mio corpo, sostituito da una massa informe di energia, completamente nera, la quale ai miei occhi era familiare sotto il nome di “heartless”.
“Ancora pochi minuti, poi tranquillo… tornerai nel tuo corpo… anche se con una piccola differenza” Xehanort sfoderò nuovamente la sua terrificante risata, incrociando nuovamente le braccia, ancora senza guanti. Provai disgusto, cosa che mi rincuorò, voleva dire che dopotutto il cuore era ancora al suo posto.
Avvertii distintamente la sensazione come se qualcuno mi stesse trascinando via, e vidi il corpo tremante dell’heartless allontanarsi dalla mia vista, che lentamente svanì nel buio, mentre le ultime parole del mio assassino rimbombarono da lontano, troppo lontano…
“Mi raccomando, goditi la tua esistenza da Nessuno!” tutto si spense. Mi sentii cadere all’indietro, senza poter aggrapparmi a nessun appiglio; era finita.
Scivolai, sentendo il vuoto riempirmi le orecchie, mentre andavo sempre più a fondo, sempre di più, precipitando nel nulla oscuro.
Quando raggiunsi il suolo, vi schiantai sonoramente sopra.
Fu un impatto di una violenza spaventosa, tanto da far spengere anche le sensazioni, svanire all’istante tutti i ricordi prima di quel giorno.
Per la prima volta, morii.
Il mio cuore appassì nel fondo di quel luogo, così assurdamente freddo e buio.
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