Prologo

Partenza

Still doll
Capitolo 3: partenza.

«Ehi Uchiha, oggi esci fuori con noi?» Una voce maschile, giovane, si rivolse a me.
«No. Non posso. A domani» Risposta secca. Il ragazzo ci rimase alquanto male, ma non ci feci caso più di tanto.
Sono turbato in questi giorni, non solo il lavoro di Itachi da avvocato era ‘miracolosamente’ diminuito, ma le giornate erano più lunghe che mai. Meno male che d’Inverno le giornate si accorciano. Ero uscito per poco tempo, anche perché la spesa non si porta a casa da sola. Nel solito negozio, poco lontano da casa, compravo sempre le solite cose. Niente di più, niente di meno.

Mentre, lentamente, riponevo gli alimenti nel frigo e negli scaffali, sentii la porta sbattere. Brutto segno: Itachi era tornato a casa. «No! L’appuntamento è rimandato a dopodomani, punto!» Parlava al telefono, quasi furioso. Altro brutto segno. Sicuramente se la sarebbe presa con me, era ovvio. Dopo aver riposto anche il latte nello scaffale sopra il frigo, sbirciai Itachi dalla porta della cucina. Era proprio furioso. Niente per descrivere il suo volto, soltanto… stanco? Bah, sinceramente non mi interessava, e, magari, se era stanco si sarebbe messo a dormire. Incrociai le dita in un gesto automatico. Ma, appena lo vidi arrivare, fissandomi, le mie dita si districarono e tornarono rigide ai lati dei miei fianchi.
Mi guardò così intensamente che quasi sprofondavo. Lo detestavo. Soprattutto quando riusciva a farmi tremare a questo modo. «Hanno chiamato da Tokyo. La nostra partenza è anticipata di due settimane.»
Cosa?!

Sgranò gli occhi, sbalordito e felice per quella notizia.
«Siediti» ordinò Itachi. Sasuke si precipitò subito sulla sedia, ascoltandolo attentamente. Era la seconda volta in quella giornata che si ritrovava a quel modo. «L’agenzia ha chiamato prima. Dice che dobbiamo lasciare la casa entro una settimana. Niente li ha smossi dalla loro decisione. Tra una settimana saremo a Tokyo.»
E a quel punto il suo cuore perse un battito. Solo un secondo, dove si sentì morire. Ma, a quelle parole era tornato in vita. “A Tokyo…” Si ripeteva mentalmente. Si immaginava gli enormi grattacieli spiccare in alto. Bellissimi ed imponenti. Gli mancavano, erano tanti anni che aveva cambiato città, e ne sentiva la mancanza.
«Per la scuola, ti iscriverò appena riapre» continuò. «Non sei felice, fratellino?» sorrise. “Ok, è impazzito.” Pensò Sasuke. Fissava il fratello maggiore con gli occhi quasi spalancati: sorrideva. Questo lo aveva fatto ricredere sulla follia di Itachi. “Non solo si scopa suo fratello, ma ora sorride. Questo è il colmo!” Scosse la testa. Itachi, capendo che non lo stava minimamente ad ascoltare, si alzò e disse. «Ti aspetto su. Muoviti, invece di immaginarti chissà cosa con quella testa.» Si avvicinò al fratello e guardandolo pochi secondi negli occhi uguali ai suoi, gli schioccò un bacio sulle labbra e se ne andò.
Sasuke si spaventò. “Sarà brillo?” Pensò. Ma i suoi pensieri furono interrotti, nuovamente, dall’enorme città di Tokyo. La capitale. La libertà.

***

Quel giorno pioveva, e anche tanto. ‘Una giornata schifosa’ l’aveva definita Naruto, che, costretto ad andare a scuola fino alle vacanze di Natale, si era bagnato tutto.
Appena la serratura della porta scattò, sua madre si fiondò davanti ad essa ad attendere il figlio. Naruto, il più velocemente possibile, aprì la porta, chiudendola immediatamente dietro di sé. «Tesoro! Ma sei tutto mezzo!» esclamò preoccupata la donna. «Corri a farti una doccia calda.» Ormai le sue parole erano come una cantilena altezzosa e noiosa. “Sempre le stesse cose”. Pensò. “Come se non piovesse mai qui!”
Si tolse le scarpe zuppe e si incamminò sul parquet, salendo le scale ed entrando nella sua camera. Quel giorno sembrava più vuota del solito. Forse perché c’era poca luce. O magari perché stava letteralmente impazzendo là dentro. Dentro la sua prigione personale. Buttò malamente la cartella ai piedi della scrivania. Cominciò a spogliarsi, e nudo, prese un asciugamano e se lo legò alla vita. Dentro al piccolo armadio c’era uno specchio. Brutta cosa. Là dentro, il suo riflesso era talmente nitido da sembrare irreale. Con una mano si tocco una piccola cicatrice sull’addome. “La firma del bastardo.” Pensò infastidito. “Ecco, se la vedesse mamma… se la vedesse lei sarebbero guai. Guai seri.” La mano gli tremava. La strinse a pugno e la lasciò cadere sul suo fianco. L’altra invece ripercorse la piccola cicatrice con un dito. Gli faceva quasi impressione. Sarà stata di due o tre centimetri. Detto così non sembra niente di ‘enorme’, ma provare quei due o tre centimetri sulla propria pelle… beh, era tutt’altra cosa. Molto doloroso. Si ricordava di un mese fa, quando gli aveva procurato quel taglio. Era quando la sua mente perversa pensava a un modo per farlo urlare di dolore. Lui ci godeva a vederlo. Così aveva preso un coltello, abbastanza affilato, dalla cucina, e, lentamente, come passassero interi anni per terminare, lo aveva tagliato. Era un taglio superficiale, ma non significava che il sangue non scorresse, anzi, aveva dovuto buttare il lenzuolo, perché, tanto, il sangue non si lava. Anche se ci provi milioni di volte. Lui c’è sempre. Forse quel sangue gli aveva dato alla testa, era eccitato in una maniera indescrivibile, quasi disumana. Era malato.
Sbatté d’un tratto l’anta dell’armadio e corse in bagno. Chiudendo a chiave la porta. Aveva paura di un possibile ‘fantasma’ che attraversasse la porta come per magia e lo torturasse. Forse un mostro brutto e rugoso sarebbe stato meglio che ritrovarsi quell’uomo. Il cuore batteva forte, le piccole gocce di sudore scendevano e la paura cominciava a farsi sentire, sempre più forte. Con gli occhi sbarrati e il corpo tremante, cercò di alzarsi in piedi per raggiungere la doccia, riuscendoci a malapena. Aprì l’acqua calda, beandosi di quel momento di pace interiore. L’acqua in quei momenti era sua amica. Chiuse gli occhi e restò lì immobile per chissà quanto tempo, piangendo.
«Caro, Naruto chan non ti sembra un po’, hm…» Ci pensò su. «Un po’ strano, ecco.» L’uomo alzò lo sguardo verso la moglie, e disse semplicemente «Ma no. Sarà una stupidata da adolescente. Magari si è preso una cotta!» esclamò quasi felice. «Dici?» sussurrò sconsolata. «Certo, tesoro. Sarà sicuramente così!» Sorrise. La donna, in quel momento, era ancora un po’ preoccupata per il figlio, ma decise di non darlo a vedere, e sorrise anche lei.
Quando Naruto scese, li sentì ridere dalla cucina; dolore e rabbia lo assalirono, come un peso enorme sul cuore, che rende difficile la respirazione. Si morse forte il labbro inferiore, mentre si ripeteva mentalmente di stare calmo. Finalmente, dopo un po’, si decise a muovere le gambe ed entrare nella cucina. «Nacchan! Tesoro mio, in questi giorni ti vedo triste, è successo qualcosa?» esclamò di botto la rossa. «N-no… sono solo stanco.» Disse quelle parole fissando gli occhi scuri, crudeli, famelici, del patrigno. La mano destra cominciò a tremare, si girò verso il bancone della cucina, per nasconderla davanti al suo petto, ed attendere che si fermasse da sola. Ma il fatto è che non avrebbe smesso se lui fosse stato ancora lì. «Naruto… se allora va tutto bene, io e Ichijo avremmo da darti una bella notizia!» disse felice, battendo le mani in segno di euforia. Naruto si voltò, nascondendo la mano dietro la schiena, e la guardò spaesato e con un velo d’ansia. «Hanno chiamato per la casa a Tokyo, e hanno detto che sarà rimandato il tutto tra una settimana!» Sorrise. «Tra una settimana traslocheremo!» Si alzò di scatto per abbracciare il figlio, che era rimasto immobile alla notizia.
Fissava il vuoto, pensando a cosa sarebbe cambiato vivendo là. Forse era una scappatoia, una via per la pace, finalmente. Tokyo. La capitale. La libertà.

***

Una settimana dopo…
Dentro quella macchina cominciava davvero a far caldo. Soprattutto con il riscaldamento acceso, il ragazzo bruciava internamente. Voltò di scatto la testa in direzione del retro della macchina, per vedere se ancora il camion con tutti i loro mobili li stesse seguendo. Era arrivato quella stessa mattina, e, dopo caricata tutta la roba, si erano avviati per l’autostrada. Il rosso di quel camion, un colore acceso, lo metteva un po’ in soggezione.
“Trasloco” pensò. Si girò dalla parte opposta di quel camion pieno di ricordi e rimorsi. Fissava le macchine che sfrecciavano nella carreggiata a fianco, come fulmini. Loro tornavano, lui se ne andava. Posò la testa sul vetro del finestrino. I capelli biondi si appiattirono contro il vetro, mentre fissata le nuvole, soffici, alte in cielo. Avrebbe, sicuramente, voluto toccarle. Sentire tra la sue mani quella purezza, tanto era sporco dentro di sé, ed accarezzarla. Dopo, magari, ne avrebbe rubata un po’ per se stesso. Però, toccarle, sarebbe stata sicuramente una bella esperienza. Più che sicuramente. Si ripromise che un giorno avrebbe preso l’aereo e si sarebbe seduto nel posto vicino alla finestrella, e le avrebbe osservate, per tutto il viaggio. Anche se non le avrebbe toccate, ci sarebbe passato in mezzo. Quello gli bastava.
Il sonno si fece sentire, era in piedi dalle sei di mattina e, in quel momento avrebbe voluto solo dormire. Perché, per qualche ora, non si voleva preoccupare d’altro. Gli occhi per un po’ si chiusero e si riaprirono, nel dormiveglia. Dopo poco, gli chiuse definitivamente, entrando nel ‘suo’ mondo dei sogni.

***

«Non stai andando un po’ troppo veloce?» chiese leggermente preoccupato il ragazzo. La vettura sfrecciava, leggera e rapida, per la strada cementata. «No. Perché, paura?» rispose con un pizzico di malizia. «No che non ho paura!» disse, alzando appena la voce.
Silenzioso, girò la testa verso il finestrino, per osservare il paesaggio. Notò anche che quel giorno ancora non aveva piovuto, un po’ strano. Sulla sua traiettoria c’era un piccolo paesino; erano poche case, ma sufficienti per far tornare la mente di Sasuke alla sua città natale. Era, forse, un pò preoccupato; si chiedeva se fosse cambiata in qualche modo, qualunque particolare, anche il più insignificante. Ormai erano passati tanti anni, anche troppi secondo lui. Preferiva non darlo a vedere, ma era felice di tornare a Tokyo. La lontananza a volte fa desiderare ancora di più una cosa, e quella ‘cosa’ per Sasuke, era quella città. Anche quando era piccolo, fin dalla più tenera età, adorava quel posto, fino all’ultimo metro di terra. Un po’ gli sembrava stano: mai si era affezionato a qualcosa o qualcuno che non fosse stato il fratello, ma ormai quell’adorazione era svanita con la sua verginità.
Dopo un po’ la macchina iniziò a rallentare, Sasuke se ne accorse molto dopo, perso sempre nei suoi ricordi. «Perché rallenti?» chiese, un po’ spaesato. «Tra cento metri c’è un autogrill. Faremo sosta lì» rispose. E poi continuò. «Eccolo lì!» esclamò, con quella vena di felicità. Parcheggiò sotto quel poco sole che c’era. «Allora, io vado al bar a prendermi un caffè. Tu fai quello che ti pare» disse impassibile. Come risposta ricevette solo un “ok” sussurrato. Si incamminò dentro il piccolo edificio, con passo quasi maestoso, se proprio gli si doveva attribuire un aggettivo. Sasuke lo seguì poco distante, vedendolo svanire poi, dietro la porta d’entrata.

Entrato anche lui, perlustrò l’interno in cerca di qualcosa, qualunque cosa. Guardò un po’ negli scompartimenti di cibo, magari per trovare qualcosa da piluccare. Anche il caldo era insopportabile, la gente era tutta ammassata insieme, e il riscaldamento acceso – anche se in inverno – non giovava affatto. Cercò di farsi strada tra la gente, fino a scorgere la chioma nera di suo fratello, intento a bere il suo caffè. Sul bancone c’era talmente tanta gente che pareva quasi impossibile che lui fosse così indifferente, come non esistessero.
Scosse la testa, e si avviò verso il bagno. Dentro c’era una puzza terribile, quasi insopportabile. Anche se a prima vista sembrava abbastanza ‘carino’, effettivamente le pareti non erano proprio pulite, e neanche il pavimento brillava. Cercò di non pensarci, e si avviò verso la porta di un wc. Nel cammino, chiuse pochi secondi gli occhi, era stanco. Si fermò in mezzo alla stanza, immobile. «Corri subito da tua madre!» il ragazzo incitato iniziò a correre, lo si sentiva dai passi pesanti e veloci sul pavimento. Sasuke riaprì di scatto gli occhi, ma troppo tardi. Il ragazzo che correva, non stava guardando avanti a sé, e gli andò addosso, facendo cadere entrambi. «Ma che cazz…» Aveva battuto la testa. Si guardò attorno, notando poi, una chioma bionda. Era il ragazzo che gli stava venendo incontro, ed ora gli era addosso. «Ma sei impazzito, eh?!» gli disse alterato. L’altro, però, lo guardò spaesato. Aveva le guance arrossate e il fiato corto. Il moro pensò che ci fosse qualcosa di strano il quel ragazzo, perché una corsa di due o tre metri, non poteva causare quell’effetto. Ma, semplicemente, se ne fregò. «Levati, idiota» sussurrò acido. Spaventato, l’altro si alzò meglio che poteva, continuando a scusarsi a bassa voce. Squadrò il moro ancora a terra: aveva degli occhi scurissimi, quasi gli facevano paura. Guardandoli, si scusò nuovamente. «Mi dispiace.» Raccolse le poche forze che aveva e se andò.
Il moro si alzò a sua volta, deciso più che mai ad arrivare vivo al bagno. Tutto l’accaduto, fu osservato da occhi di ghiaccio, che Sasuke incontrò, rabbrividendo. Come avendo un déjà vu. L’uomo dagli occhi familiari, a passo lento ma deciso, uscì dal bagno, lasciando il moro immobile. Aveva avuto paura.
Finito, uscì dai servizi, ritrovandosi il fratello a due passi da lui. A prima vista prese paura, non aspettandosi di vederselo davanti. Lo guardava impassibile – come sempre – con il solito, strano, sorrisetto sulle labbra. “Altro, solito, brutto segno.” pensò sarcastico. «Su, fratellino, torniamo alla macchina…» gli sussurrò davanti al viso. Sentiva pure il suo respiro sulle labbra, che sapeva di caffè. Ancora una volta lo seguì, sapendo più che bene a cosa sarebbe andato incontro, di nuovo.
Erano distesi uno sopra l’altro sui sedili posteriori della macchina. Itachi sfiorò con le labbra il collo del ragazzo, facendolo sussultare. Ormai lui si era arreso. Avrebbe fatto tutto quello che voleva, o, in alternativa, lo avrebbe lasciato fare. Le labbra del più grande risalirono tutto il collo con piccoli baci, fino ad arrivare alle labbra. Lo baciò, prima dolcemente, poi la lingua si introdusse dentro la bocca dell’altro, trasformandolo in un bacio famelico ed eccitante. La mano di Itachi si infilò sagace dentro i boxer del fratello, muovendosi abile. Il gemito del ragazzo fu trattenuto dal bacio, che, preso dall’eccitazione, si ritrovò a ricambiare. Con l’altra mano libera, il più grande, sganciò tutti i bottoni della camicia, accarezzando l’addome del fratello. Interruppe il bacio, per dedicarsi nuovamente al collo, scendendo sul petto, baciando e lambendo la pelle ormai bollente. Le labbra si posarono sui capezzoli, mordendoli e leccandoli leggermente. Scappò un piccolo gemito dalle labbra di Sasuke. «Shhh…» sussurrò l’altro. Tolse la mano da dentro i pantaloni del fratello, che rispose con un mugolio contrariato. Si dedicò alla camicia, togliendola facilmente e buttandola sul sedile anteriore. Sganciò, poi, la cerniera dei jeans, abbassandoli e facendoli scorrere leggeri tra le gambe del ragazzo, fino a toglierli e buttarli accanto alla camicia. Sasuke respirava affannosamente, le guance un po’ arrossate e gli occhi socchiusi, lussuriosi. L’erezione premeva nei boxer, ormai stretti. Itachi andò a stuzzicarla con la lingua , inumidendo il tessuto, per poi toglierli subito, lasciando, così, poco spazio all’immaginazione. Era molto eccitato anche lui. Vedere il fratello sotto di lui, con il viso arrossato e gli occhi lucidi, il corpo nudo, che, anche se taceva, lo pregava di continuare. Velocemente, si abbassò un po’ i pantaloni e i boxer, alzandogli le gambe, per muoversi meglio. L’eccitazione era presente anche nei suoi occhi, che fissavano il fratellino. Si mise alla meglio, perché dentro la macchina non era tanto comodo, e lo penetrò in una spinta. Anche se ormai era abituato a quei modi violenti, senza alcun tatto, sentiva ancora dolore. Si mise una mano davanti alla bocca, mentre il fratello entrava e usciva sempre più bruscamente e velocemente, mugolando compiaciuto.
Una spinta. «Lo sai Otouto…» Respirò. «Mi piace proprio questa macchina…» Altra spinta. «soprattutto per…» Piccolo gemito. «per… i vetri oscurati…» Ennesima spinta. Sasuke non l’ascoltava. Sentiva le sue parole, ma non ne capiva il significato, troppo impegnato a non sentire il dolore, e, allo stesso tempo, di non gemere troppo forte. «Non pensi..?» Una domanda più a se stesso, che rivolta ad altr
i. Sasuke, con la poca lucidità rimastogli, alzò un braccio verso il viso del fratello. Con la punta delle dita sfiorò la sua guancia, proseguendo poi verso i capelli, stringendoli. L’attirò a sé, con le poche forze che aveva. Itachi, però, continuava a penetrarlo, impassibile, come sempre. Ma, quando le loro labbra si unirono, ricevette un’ulteriore scarica per tutta la schiena. Più eccitazione. Le loro labbra si muovevano insieme, così come le loro lingue. Quel bacio, quelle spinte, le mani che toccavano tutto il corpo, il massimo. Sasuke si tappò la bocca, mentre, all’apice del piacere, venne. Itachi continuò a spingere ed a baciare il fratello, finché non venne anche lui. Strinse i denti, mentre interiormente esplodeva di piacere. Doveva stare zitto. Appoggiò la fronte su quella del fratello, sempre con gli occhi chiusi e il respiro affannoso, che sfiorava le labbra del ragazzo sotto. D’improvviso, aprirono gli occhi e i due pozzi neri si mescolarono insieme, ricreando un’oscurità fatta di luce. Itachi voleva restare ancora lì, accanto a lui, lo desiderava, ma dovevano ripartire. Così, sempre impassibile, disse «Muoviti a vestirti… dobbiamo ripartire.» Si alzò, uscendo da lui, e si cambiò di abiti, prendendoli da una sacca sul sedile del passeggero. Sasuke fece lo stesso, pensando a tante cose. Poco dopo ripartirono per Tokyo.

***

«Naruto, io vado a prendere un caffè per me e Ichijo, tu fai pure quello che vuoi, basta che non ci perdiamo qua dentro! Con tutta questa gente!» esclamò, un po’ infastidita. «Ok, faccio un giro…» disse sorridendole, e si incamminò per il piccolo edificio. Kushina si avviò verso il bancone del bar, mentre Ichijo rimase accanto a Naruto, guardandolo di sottecchi. Il biondo si sentiva osservato, un po’ troppo. Aveva dentro di sé quel senso di oppressione, ed aveva più che ragione ad avercelo. «Andiamo in bagno, Naruto.» Brividi di terrore lo invasero. Spalancò gli occhi. “No, ancora…” pensò. Aveva gli occhi lucidi, sapendo cosa sarebbe successo. Ichijo lo prese per il polso, stringendolo forte. A Naruto scappò un piccolo gemito di dolore, ma tra tutto il casino della folla dentro quel posto, nessuno sentì nulla.
Chiuse a chiave la porta di un wc, sbattendo contro il muro il ragazzo. Batté la testa. Ichijo lo prese per la maglia e lo mise con la schiena contro il muro laterale. «Sei fortunato che siamo in un luogo pubblico. Non posso farti troppo male…» gli sussurrò all’orecchio. «Ma mi rifarò, sta tranquillo.» La sua voce era affilata e imponente. Chiuse gli occhi, attendendo che finisse. L’uomo gli tolse velocemente i pantaloni ed i boxer, facendo la stessa cosa con i suoi. Lo prese per i capelli e lo buttò in ginocchio davanti a se. Naruto aprì gli occhi, sapendo già cosa fare. La stretta si rafforzò finché cominciò a leccare il suo pene. La mano lentamente lasciò i capelli, mentre il piacere e l’eccitazione lo assalivano. Il biondo prese in bocca tutta l’erezione, succhiandola e leccandola. Continuò così, finché il bruno lo allontanò da sé e lo fece voltare. Appoggiò la fronte contro il muro, sbarrando gli occhi. “Tutte le persone sbagliano. È normale sbagliare, è umano. Ma questi sbagli, non sono umani.” Lo penetrò con violenza, serrando la bocca per non emettere alcun suono. Portò anche una mano davanti alla bocca del ragazzo, che voleva urlare dal dolore provato. Continuò a spingere sempre più forte, ad uscire ed entrare ancora più brutalmente. Naruto non provava piacere. Non più. Solo il dolore al basso ventre, insopportabile, ma inevitabile. Gli occhi si arrossarono, e calde lacrime scesero, bagnando le sue guance. L’uomo, intanto, pensava solo al suo di piacere: più che godeva, più che affondava. Sempre più dolore. Infine, si riversò dentro al biondo ed uscì velocemente da lui, soddisfatto. Si riallacciò velocemente i pantaloni ed uscì dal wc, andando al lavandino, per rinfrescarsi un po’.
Era rimasto appoggiato al muro. Ma lentamente scivolò a terra, piangendo ancora di più. Dopo circa cinque minuti riuscì a smettere di piangere, si rimise i pantaloni ed uscì.

«Corri subito da tua madre!» Naruto iniziò a correre, spaventato. Voleva scappare da quel posto. Il ragazzo moro riaprì di scatto gli occhi, ma troppo tardi. Il biondo correva, non stava guardando avanti a sé, e gli andò addosso, facendo cadere entrambi. «Ma che cazz…» Il moro aveva battuto la testa. Naruto, invece, non capiva più nulla. Aprì gli occhi, ritrovandosi due iridi nere puntate addosso, furiose. «Ma sei impazzito, eh?!» gli disse alterato. Il biondo, però, lo guardò spaesato. Aveva le guance arrossate e il fiato corto. Voleva solo uscire di lì, nient’altro. Il moro pensò che ci fosse qualcosa di strano il quel ragazzo, perché una corsa di due o tre metri, non poteva causare quell’effetto. Ma, semplicemente, se ne fregò. «Levati, idiota.» gli sussurrò acido. Naruto, spaventato, si alzò meglio che poteva, continuando a scusarsi a bassa voce. Anche i suoi occhi, in qualche modo, lo atterrivano. Squadrò un’ultima volta il moro e si scusò nuovamente. «Mi dispiace.» Raccolse le poche forze che aveva e corse fuori da quel posto orribile.

La rossa lo vide correre fuori dall’autogrill, ma non capiva cosa gli era successo. Ichijo ancora non era uscito, quindi decise di correre dietro al figlio. «NACCHAN!» urlò. Ancora correva. «UZUMAKI NARUTO, FERMATI!» Ora il tono era duro. Era la prima a non voler alzare la voce con lui, ma doveva risponderle. Naruto si girò verso la madre, che si avvicinava a passo veloce. Si voltò, cercando, con le maniche della giacca, di asciugare le lacrime. «Naru chan, perché correvi?» chiese con tono preoccupato. «Non è niente. Solo…» Si interruppe. “Solo cosa? Merda!” Era irritato. «Solo… che là dentro era troppo caldo.» disse tutto d’un fiato, sperando che gli credesse. «Ah… ma dovevi per forza correre, Nacchan?» sussurrò, ancora preoccupata. «Scusa mamma…» La abbracciò. Davanti a lui, il patrigno aprì la porta dell’edificio. Lasciò la madre e si avviò come un fantasma verso la macchina.
«Tesoro, ma non hai preso il caffè?» chiese, perplessa. «No, non mi andava» rispose sorridendo. «Ah… comunque non era proprio granché, ma ci voleva per svegliarmi un po’!» esclamò soddisfatta. «E poi, hai visto Naruto? Mi ha fatta preoccupare!» Sussurrò all’orecchio dell’uomo. «Pensavo avesse chissà cosa, e invece ha solo caldo!» terminò sconsolata. «Dai, che non è successo niente, tesoro.» Rise. Naruto li sentiva parlare, ma da lontano. Arrivato alla macchina si appoggiò, osservando i due che si avvicinavano.