Lezione di Pazzia 1

Lezione di Pazzia 1

Ebbene!Rieccomi qui con la mia solita pazzia (va che titolone eh XD) e la mia solita voglia di torturarvi con le mie storie XD questa volta,anche se volevo fare una one-shot, mi è venuta una storia un bel po’ più lunga,così l’ho divisa su due capitoli (tranquilli,il primo è più corto XD) così se qualcuno non ha voglia di uccidersi gli occhi tutti in una botta,se la legge con calma ^^ probabilmente stavolta “toppo” con il rating,probabilmente esagero ›‹

Spero che anche se non è particolarmente yaoiosa (anzi,per niente) vi piaccia (ah, °°’ ehm…è un pochino cruda,anzi,forse molto cruda ›‹ ) lascio spazio agli avvisi ora,prima di salutarvi XD

I personaggi della presente fanfic sono di mia invenzione, cui ne detengo tutti i diritti. Nonostante la cosa mi onori, ogni qualsivoglia tentativo di plagio NON AUTORIZZATO (anche parziale) sarà punito con le peggiori pene dell’inferno (e un sacco di mortacci tua’). Bonne lecture!

“Dillo che hai paura! Dillo e sei salvo!” il suo dito insanguinato mi scivolò su e giù per la schiena più volte, lasciandomi una sensazione umida, probabilmente data dal sangue.

“Pensi che io abbia paura di te? Povero…” lo guardai dritto negli occhi. Sorrisi e gli sputai in faccia.

“Ah-ah, non si fa Michel… con chi pensi di stare a che fare? Con la tua amichetta?” un colpo di frusta sul petto nudo, la maglietta lacerata da lui stesso. Le mani legate dietro lo schienale della sedia con il doppio nodo della corda, stretto a tal punto da non farmi passare il sangue. Il colpo alla testa ricevuto appena entrato in quel casolare aveva causato una ferita che stava ora sanguinando, facendomi gocciolare il sangue proprio davanti al mio occhio sinistro, rendendo la visuale per metà rossa.

“Quanto pensi che durerai? Tra neanche ventiquattro ore sarai in arresto… vuoi uccidermi? Dai, fallo.” mi rivolsi al mio torturatore in tono di sfida, se solo avessi potuto muovere le gambe.

“Dillo che ti piace il dolore… ma se vuoi ti faccio urlare di piacere – e giù altre due frustate, i laccetti più lunghi, con la pelle a punta, mi fecero due buchi sulla spalla destra, che iniziò a bruciarmi – a te piace questa sensazione, non è così?”

“Qui non c’entro io, l’unico masochista sei te… vero Darlet?” continuai a guardarlo negli occhi, nonostante avessi voglia di buttarmi addosso a lui e ucciderlo con le mie stesse mani, le stesse con cui mi aveva costretto a uccidere il suo amico.

“Michel, Michel… – sospirò prendendo una sedia, mettendosi seduto e iniziando a giocherellare con le punte della frusta – perchè devo farti male? Io voglio solo farti soffrire un po’, tutto qua.” abbassai gli occhi, notando che le assi del pavimento di legno erano ancora coperte da chiazze di sangue, ormai rappreso.

“Interessante… posso sapere anche perchè?” spostai lo sguardo per un attimo verso quello che, una volta, era un poliziotto. Quello l’aveva ucciso lui, era arrivato poco dopo l’uccisione dell’amico di Darlet, non si sa come.

L’unico pensiero leggermente più evasivo rispetto ai morti, era la mia fidanzata, con cui ero in crisi da qualche tempo. Ma mi pare anche giusto, non considerando le ragazze più piccole di me di otto anni, una storia seria. Il mio unico dispiacere è che la incontrai che era una prostituta, ed invece di studiare al terzo anno di qualche scuola prestigiosa – perchè avrebbe potuto farcela sforzandosi – si era ritrovata a discutere di profilattici e modi di fare sesso, con degli sconosciuti per giunta. Volevo aiutarla solo un altro poco, giusto per permettergli di recuperare qualche anno di scuola professionale.

“Certo! Ma… – si alzò dalla sedia con un sorriso sadico sul volto, buttando da una parte la frusta e tirando fuori un coltello dalla tasca – …perchè dirtelo se lo sai?” si avvicinò a passi lenti, la sua ombra proiettata dal sole al tramonto si allungava su di me sempre di più, sempre di più. Finchè non mi fu abbastanza vicino da strusciare la sua guancia perfettamente liscia contro la mia, rasposa di una barba che non facevo ormai da alcuni giorni.

“Sei stato tu a minacciarmi con la pistola di uccider…”

“No no no no. Michel… ragiona. Pensa. Cosa hai fatto una settimana fa, precisamente Sabato?” ripensai a ciò che avevo fatto due giorni prima, all’inizio del weekend.

Uscito dalla scuola in cui insegnavo Psicologia, ero andato a casa e mi ero fatto un bagno caldo, per rilassarmi, visto che tra la scuola e la mia ragazza – la quale diceva che non mi preoccupavo abbastanza di lei – ero sull’orlo di una crisi di nervi. Dopotutto non che avesse torto sul fatto dell’attenzione che le dedicavo, però doveva capire che io avevo la mia vita, e lei la sua. Se prendevo troppo in considerazione i suoi problemi da adolescente maltrattata, mi ritrovavo coperto di debiti per sfamare la sua famiglia. Se prendevo troppo in considerazione la mia, finivo con il prendermi scatolette intere di antidepressivi e morire affogato con un sacchetto in testa.

“Ragazzi, per la prossima volta voglio che studiate l’ID,l’Io ed il Super-io, come l’Ave Maria.” stavo iniziando a rimettere a posto i libri usati durante la lezione, quando notai una mano alzata. Quella di Darlet.

“Sì Alian?” arrossì spaventosamente, ma si alzò lentamente e, con una nota di vergogna nella voce e la testa bassa, mi chiese ciò che non mi sarei mai aspettato.

“Professore… se io l-le chiedessi di u-uscire con… me, stasera, lei… accetterebbe?” lo guardai sorridendo, un po’ spiazzato e un po’ divertito. Tutta quanta la classe bisbigliò e si girò verso di lui ridendo.

“…cosa hai detto Alian?” il suo cognome, Alian, era conosciuto per essere una delle famiglie più importanti lì intorno. In quel paesino sperduto in Andorra la cosa più importante che una persona potesse fare era il calzolaio. E si dava il caso che i genitori di Darlet avessero addirittura una piccola fabbrica di calzature, quindi era conosciuto un po’ dappertutto. Dentro e fuori scuola.

“H-ho detto… sta’ zitto Juan!” era talmente serio, che quando diede lo schiaffo al ragazzo che stava davanti a lui, dicendo che non gli bastava essere la “puttanella della scuola”, quello si alzò per restituirgli “il favore”, mi mossi di scatto per intervenire.

“Fermi! State fermi! O vi faccio sospendere a tutti e due. Alian, vieni qua, ne parliamo con calma di fuori, ti va?” misi seduto a forza Juan, prendendo una mano di Darlet, che si infiammò in volto. Era leggermente pallido, colore forse dato dalla paura del momento. Un colore che contrastava con il marrone dei suoi capelli e l’azzurro/grigio dei suoi occhi, il suo corpo stava tremando più che mai. Lo trascinai con me, presi le mie cose e mi diressi verso l’uscita. Sulla soglia della porta mi voltai verso la classe e dissi quello che probabilmente fece infuriare il mio alunno.

“Ragazzi! Voi studiate comunque, anche se non so se torno vivo! Chissà, Alian magari mi… spompa e non riesco più ad alzarmi neanche dal letto. Ahah, ciao ragazzi.” risi per qualche secondo, poi mi girai, sentendo la presa di Darlet rafforzarsi sulla mia mano. Smisi di sorridere appena lo guardai in volto: era funereo, come se stesse tentando di farmi scappare via urlando. Lo portai fuori dall’aula, salutai la collega che entrava e mi misi davanti a lui, aspettando una spiegazione. Stavo iniziando a preoccuparmi seriamente.

“Dai… spiega. Cos’è sta storia dell’uscita…” lo sguardo assassino che avevo visto prima scomparve, venendo sostituito dallo stupore e successivamente dall’imbarazzo.

“Oh… bè… ecco, io… pensavo che lei potesse… sì, ecco, come dire…” mi fece così tanta tenerezza che non mi trattenni dal sorridere e aiutarlo a finire la frase.

“Avere un appuntamento con te?” lui mi guardò shockato, annuendo debolmente. Continuai a sorridere e gli misi un braccio intorno alla vita, facendolo diventare rosso come un peperone, su quella faccia da bambino con i capelli dritti e una piccola frangetta che gli copriva metà fronte. Sicuramente non era un brutto ragazzo.

“Darlet… ma ho una ragazza io. E poi sei anche minorenne… ho quasi 10 anni più di te, non credi di sbagliare un po’ a chiedermi di uscire con te?” lui si asciugò le lacrime che gli stavano scendendo lentamente sulle guance, si rivolse a me con gli occhi lucidi e la voce bassa bassa, come quella dei bambini quando vengono rimproverati.

“Ma lei… lei… professore, lei è l’unica persona che ha capito tutto quanto di me senza chiedermi nulla, l’unica persona che reputo bella, stupenda in questo paese del cazzo… io… bè, io… la amo.” si avvicinò velocemente a me, baciandomi sulla bocca, cercando di infilare la lingua. Essendo più alto di lui di una decina di centimetri, doveva stare sulle punte, quindi bastò una spinta un po’ più forte per farlo cadere a terra, terribilmente spaventato. Mi guardò con quegli occhi da cucciolo che si ritrovava, che tuttavia non mi calmarono.

“Non ti ci azzardare più, chiaro?! Chiaro piccolo bastardo?! Ed ora fila in classe, e prova a conoscere qualche persona decente in “questo paese del cazzo”, che sia maschio o femmina non me ne importa. Vai, un giorno ne riparleremo.” lo tirai su violentemente con la mano, lo spinsi in classe e chiusi la porta senza dire nulla. Guardai il corridoio, pieno di professoresse e professori affacciati per vedere cosa succedeva. Non passò molto prima che arrivasse anche il vice-preside.

“Darlet… ma tutto questo perchè ho reagito in quel modo?! È perchè ti ho spinto via che ora mi hai fatto assistere… e fare, questo?!” gli urlai i miei pensieri in faccia, facendolo sorridere e strusciare la lama del coltello sulla guancia, una leggera sensazione di bruciore mi pervase la zona che andava da sotto l’occhio fino al mento, ovvero dove aveva passato l’arma quel ragazzo. Sentii il tocco della sua lingua sulla ferita, facendola bruciare terribilmente. Si ritrasse lentamente da quel gesto, standomi a pochi centimetri dal volto.

“Perchè tu non sai cosa mi disse il vice-preside, che mi umiliò davanti alla classe rimproverandomi di essere un poco di buono, non sai cosa mi FECE il preside. No che non lo sai, ma ora te lo farò vedere.” scoprì il braccio sinistro, finora coperto dalla maglietta nera. Ferite provocate da, probabilmente, un coltello si stendevano dal gomito in giù, risparmiando solamente la mano.

“Ma cosa…! Chi ti ha fatto questo, chi…” non riuscivo a distogliere l’attenzione dal braccio, e lui si scoprì anche l’altro, ridotto anche peggio. Lividi dappertutto, graffi nella parte sotto del braccio e altri segni di ferite provocate da una lama.

“Il tuo caro amico preside… ti ha voluto difendere, mi ha voluto mettere a tacere, calmare. Mi ha fatto urlare come un dannato per quindici minuti di seguito, probabilmente nessuno ha sentito niente perchè erano tutti fuori a divertirsi, anche lui si stava divertendo, alla fine sai cosa mi ha detto?” negai.

Si allontanò di fretta da me, prendendo la lama e conficcandola nella testa del cadavere del suo amico, spaccandogli il cranio. Ritirò fuori il coltello e lo avvicinò al mio volto.

“Lo senti l’odore del suo sangue? Lui ha visto… ha visto tutto quello che mi ha fatto quel maiale, ha sentito quando mi ha detto ‘Le voci in giro erano vere, sei una brava troia.’. E quel ragazzo lì, adesso morto, che hai ucciso… lui è stato il mio primo “cliente” e il mio primo amico. L’unico amico forse.” l’odore nauseabondo e la vista delle cervella del ragazzo mi fecero venire un conato di vomito, che riuscii a rimandare indietro. Presi aria nei polmoni per cercare di calmarmi. Miguel..? Possibile che lui, la persona che mi prese a lavorare nella sua scuola privata, a me, che ero appena uscito dall’università, fosse davvero così?

“Stai pensando se il tuo amico è davvero così? Oh sì…in quel cassetto ha un bel coltello per giocare. E devo dire che ce l’ha anche lungo… bastava semplicemente che me lo chiedesse di farlo, sai? Invece no, ha voluto mettermi al muro, facendomi male, facendomi uscire il sangue dappertutto e poi chiamando quella PUTTANA della tua amica infermiera. Non è tua amica? Non è la madre della tua… fidanzata? O forse è più una troia personale?” pulì il coltello dal lordume con la mia maglietta, buttata per terra, il sangue si impresse sulla stoffa bianca come uno stampo. Pulì bene l’arma, tanto che non sembrava neanche usata, se non per una leggera patina opaca, poi, di scatto, probabilmente preso da un gesto d’ira, ficcò la lama nella mia gamba destra, a metà coscia. Un dolore lancinante mi prese tutto quanto il corpo lasciandomi sfuggire un grido pazzesco, tentando di dimenarmi. Essendo senza pantaloni il sangue zampillò fuori, finendo a schizzi sul pavimento e sulla faccia di tutti e due. Per il semplice motivo che gli andava, mi aveva fatto svenire dal dolore e, forse, rischiare la morte.