Autoconclusivo

Autoconclusivo

Ciao! Questa è la mia prima fan fiction su Gravitation!
Non c’è un vero e proprio pairing, è semplicemente una one-shot sulla reazione di Shuichi. Si colloca dopo il Megamix Panda.

L’oscurità è in tutti.

L’oscurità è paura.

Qual’è la mia paura?

La sensazione di morire da dentro…

La certezza che oramai tutto è finito…

Vi prego, ditemelo.

Io vi imploro, anima innocente.

Dal mio candore che ancora non ha scoperto il dolore.

Dalla mia ingenuità che ancora mi fa scudo.

Dal mio cuore, ancora spensierato.

Qual’è la mia paura?

Qual’è l’oscurità celata in me?

Shuichi sfiorò con le dita il liscio pavimento, vagarono cieche fino a che non sentì sotto i polpastrelli il ruvido telecomando. Con un gesto meccanico sollevò il braccio, non ebbe bisogno di vedere il tasto da schiacciare, molte e molte volte era stato costretto a dormire sul divano, molte, troppe volte aveva guardato la televisione incapace di dormire, incapace di andare contro il volere di Yuki.

Yuki Eiri, il suo ragazzo, la sua ispirazione, la sua ragione di vita, la persona più importante al mondo per lui, stupido piccolo sognatore le cui fragili illusioni erano state spezzate dalle immagini che adesso scorrevano veloci davanti ai suoi occhi, a ritroso, intensificando ancora una volta le fitte che provava al petto.

Finalmente il video si fermò, lo schermo divenne nero.

Nero era l’animo di Shuichi; il piccolo bambino sempre allegro e solare, l’ingenuo e dolce moccioso che non poteva mai vedere nulla all’infuori di quello che i suoi occhi azzurri incrociavano, perchè era solo un dannato moccioso.

Allora perchè molte notti le aveva passati insonne, a placare l’animo agitato dagli incubi di Yuki, a toccargli i fili dorati, a carezzargli la pelle nivea infondendogli sicurezza e tranquillità?

Perchè ascoltava i singhiozzi muti stretti in un cuscino?

Perchè cercava di attirare l’attenzione su di lui per far scappare Yuki dagli artigli di un passato che non accennava a lasciarlo?

Perchè sopportava ogni giorno le occhiate gelide che gli rivolgeva, gli insulti che lo laceravano come un pugnale, i gesti violenti che lo minacciavano?

Perchè lui, Shuichi Shindo, amava alla follia Yuki Eiri.

Non sapeva cosa provasse, non avrebbe mai potuto farlo, in fondo non aveva vissuto il suo orrore, ma lo stesso provava ad allontanare la sua mente dai tristi pensieri che lo tenevano incatenato agli orrori di un passato che non riusciva a dimenticare.

Forse non poteva, ma molte volte il piccolo cantante si era chiesto se mai ci avesse provato a dimenticarlo.

Ogni volta che le sue limpidi iridi si specchiavano nei pozzi dorati dell’uomo riusciva a vedere quel colore così insolito macchiato da un velo di tristezza che non riusciva a celare.

Detestava parlare di Kitazawa Yuki, ma aveva preso il suo nome per commemorarlo; non riusciva a dimenticarlo, tuttavia non voleva mostrare il suo dolore a nessuno.

Almeno, questo pensava Shuichi fino a pochi minuti prima.

Quando ancora era sull’aereo che lo avrebbe riportato in Giappone, che lo avrebbe riportato da lui.

Quando ancora scherzava e rideva con i suoi più cari amici, Hiro, Fujisaki, Sakano, K.

Quando ancora credeva che ci sarebbe stato qualcuno ad attenderlo, pronto ad abbracciarlo, ad ascoltarlo, a ricambiare il suo amore.

Chi era Shuichi Shindou per Yuki Eiri?

La persona con la quale si sfogava per atti che non aveva mai compiuto?

La persona che subiva i suoi sfoghi instabili, causa di un passato orribile?

La persona che sopportava il suo carattere irrascibile, imprevedibile e bastardo solo perchè lo amava alla follia?

No…

Adesso Shuichi Shindou era solo la bambolina che Yuki Eiri usava per vendicarsi degli atti sessuali subiti.

Da Yuki Kitazawa, da Thoma Seguchi, da Tatsuha Uesugi.

Perchè lui, Yuki Eiri, era solo un debole, incapace di abbandonare il ricordo della persona amata si sentiva appagato a rimembrare quei momenti con altri, a sfogare il suo astio su un innocente.

Un innocente con l’animo macchiato, nero come lo schermo scrutato dai suoi occhi blu, come se nascondesse un arcano segreto che avesse potuto cancellargli dalla memoria quelle immagini, che avesse potuto non fargli vivere quei momenti, fargli trascorrere un’altra giornata senza sapere ciò che si celava alle sue spalle.

Non aveva ancora pianto?

Strano, di solito piangeva per ogni cosa, la minima, la più stupida. Piangeva per quello che gli accadeva, piangeva per quello che accadeva agli altri, ma adesso le lacrime non c’erano.

Si erano prosciugate, lasciando un’arida scia nel suo cuore, l’amore era evaporato, aveva lasciato il posto ad un’amara solitudine, ad una cruda certezza.

Adesso lo so.

La mia paura è rimanere solo.

Non avere più chi ti ama.

Scoprire che non sei l’unico.

Scoprire che non sei degno di fiducia.

Non sei degno d’amore.

Anima innocente macchiata dal piacere.

Anima innocente infranta da dolori altrui.

Anima innocente…

Adesso non più.

Accecata dai bagliori oscuri della verità.

Yuki entrò in casa, certo di trovare finalmente pace e serenità.

Aveva passato l’intera mattinata a lavorare sul suo nuovo libro e certo non era stato per nulla piacevole passare due ore a parlare con il capo editore sulle scadenze, i prezzi e altre cazzate simili.

Nella testa gli sembrava di udire ancora quella voce fastidiosa che lo ammoniva riguardo al ritardo dell’ultimo libro; non poteva lamentarsi, le copie erano andate immediatamente a ruba, avevano dovuto ristampare parecchie altre volte.

Immerso nella contemplazione del silenzio della sua casa non si accorse della valigia che intralciava il passaggio fino a che non ci sbattè contro.

Gli bastò una semplice occhiata per riconoscere il bagaglio di Shuichi.

Sapeva che sarebbero arrivati quella sera, probabilmente avevano anticipato il volo e il ragazzo aveva ben pensato di fargli una sorpresa, mal riuscita, pensò sbuffando il fumo aspirato dalla sigaretta.

La prese e la rigirò tra due dita, contemplò le ceneri rosse che rilucevano di un bagliore splendente, poi la spense sul posacenere abbandonato sul tavolo.

Rimase immobile, non c’era alcun tipo di rumore, probabilmente Shuichi non c’era, era solo passato per posare la valigia.

Ma la sua ipotesi fu rotta dal cigolio della porta della cucina, voltò la testa e vide il diciannovenne chiudere l’uscio lentamente.

La stranezza che aleggiava nell’aria non era solo un impressione, Eiri lo capì immediatamente.

Shuichi non gli era saltato addosso come al solito, non aveva pronunciato quelle tre stupide sillabe senza senso, non aveva alzato lo sguardo azzurro, non aveva mostrato il suo sorriso da ebete, non aveva lanciato il solito gridolino per invocarlo a gran voce.

La sua mano non si era tolta dal pomello, gli occhi puntavano ancora il basso, coperti dalla frangetta fucsia.

Lentamente focalizzò la figura dello scrittore, seguì attentamente il gesto che compì per accendersi un’altra sigaretta.

Il suo corpo mollemente barcollò in avanti, un passo dopo l’altro si ritrovò a poca distanza da Yuki, il viso sempre basso.

– Guardami! –

Eiri posò una mano sui capelli morbidi del ragazzo, spinse brutalmente all’indietro la sua testa, odiava parlare a qualcuno senza guardarlo negli occhi.

Shuichi non appena sentì il contatto di quelle dita sollevò un braccio, colpì brutalmente il viso pallido.

La sigaretta cadde a terra, rotolò e sparse la cenere grigiastra, il segno della mano aveva arrossato la guancia candida.

Yuki sfiorò il punto incriminato come per accertarsi che tutto quello fosse accaduto realmente, fissò Shuichi senza dare alcun segno di stupore o altro.

Quello sguardo indifferente fu un’ulteriore pugnalata per il cantante. Si portò una mano sul petto, strinse convulsamente la maglietta, strinse i denti deluso.

Agli angoli degli occhi delle lacrime minacciavano di scendere, ma lo sguardo fermo rimase puntato verso la persona che credeva di amare, che credeva lo amasse.

– Cos’hai? – sbottò gelido lo scrittore.

– Dimmi… ti è piaciuto? –

La domanda diretta spiazzò il biondo, inarcò un sopracciglio, scrutandolo severo.

– Cosa? –

Shuichi strinse i pugni, si morse il labbro tentando di fermare il tremore crescente.

– Farti riprendere da Tohma mentre godevi con Tatsuha!!! –

L’urlo del ragazzo raggiunse l’anima di Eiri, guardando solo con gli occhi si potevano vedere solo le sue labbra leggermente dischiuse.

Dentro di sè, oscurità.

Yuki Eiri.

Freddo e scostante.

Eiri Uesugi.

Fragile e instabile.

Yuki trova in Shuichi il suo sfogo.

Eiri trova in Tohma e Tastuha l’amore perduto.

Sfruttatore di anime.

Demolitore di sogni.

La conseguenza nel sangue.

– Lo so che c’era anche lui! Si sentiva la sua voce! Si sentiva! SI SENTIVA!!! –

Shuichi affondò le mani nei capelli, artigliò selvaggiamente i fili morbidi, li sentì strapparsi sotto la sua disperazione.

Delle lacrime caddero macchiando il tappeto, accompagnando le bruciature causate dalla cenere, mischiandosi con loro, senza cancellarle.

– Tu… –

– Ho visto il filmino di là!!! Così è questo che ti diverti a fare quando non ci sono?!? – gridò disperato.

Nella sua mente si fece spazio l’immagine di Tatsuha, la sigaretta in bocca, l’aria beffarda, poi quella di Tohma, l’indice premuto sulla bocca, il suo insopportabile falso sorriso.

Le parole di avvertimento, quel qualcosa che aveva sempre sospettato, ma che Yuki non gli aveva mai rivelato.

– Bastardo! – fece un ulteriore passo verso di lui, alzò gli occhi.

Non era Shuichi a dover tenere lo sguardo basso, ma era Eiri a dover provare i sensi di vergogna, a sentire i rimorsi divorargli l’anima, a sferzargli lo spirito.

– Perchè lo sarei? –

Il ragazzino sbarrò gli occhi incredulo, allargò violentemente le braccia.

– Sei un bastardo! Come fai a non capirlo?!? – si artigliò al colletto della sua camicia, lo strattonò violentemente.

Dentro di sè provava l’insano desiderio di urlare, di gridare a squarciagola il suo dolore, di far provare fisicamente una minima parte di quello strazio all’odioso essere che si trovava di fronte a lui.

– Ti è piaciuto farti sbattere?!? – lo scrollò con forza, il corpo di Yuki sembrava una marionetta inerme, come se sapesse di non avere scusanti, di non avere motivo per fermarlo – Ti è piaciuto far finta che al posto loro ci fosse Yuki Kit… –

Shuichi non potè terminare, il senso della frase era chiaro fin dall’inizio, ma Eiri non lo lasciò terminare, la sua mano lo raggiunse con tale violenza da farlo cadere a terra con un tonfo secco.

Il diciannovenne si aggrappò ad un lembo del tappeto, la testa appoggiata sul morbido tessuto sembrava essere diventata troppo pesante da sollevare, qualche gocciolina purpurea scivolò silenziosa dal suo labbro macchiando il prezioso suppellettile.

– Taci! Tu cosa ne sai di quello che provo io? –

La voce di Yuki era fredda, ma una leggera emozione, l’ira, si era intrufolata nel muro di ghiaccio che presentava sempre davanti a Shuichi.

Il ragazzino riuscì a girare gli occhi e a vedere il suo volto non più freddamente rilassato, ma teso, solcato da un’emozione. Gli sembrava vivo per la prima volta, capace di provare sentimenti nel cuore.

– Io non lo posso sapere… anche se vorrei non posso leggerti nella mente. – una lacrima gli bagnò la guancia, raffreddò la pelle calda e arrossata – Io non so cosa si prova nel tuo caso. Fin’ora cercavo solo di farti dimenticare per un po’ di quello che ti è successo, aspettando che ti aprissi tu a me… –

– Cosa ti fa pensare che lo avrei fatto? –

– Non lo sapevo nemmeno io. –

Yuki socchiuse le labbra, fissò interrogativo la chioma rosata che velava il suo volto di bambino.

– Però a me bastava che tu fossi in pace con te stesso, anche per poco, non mi interessava se mi trattavi male, pensavo che per te fosse una valvola di sfogo e accettavo tutto di buon grado. –

– Stupido! –

Nonostante avesse tentato di mantenere il suo solito tono scostante lo scrittore non riuscì ad esimersi da portarsi una mano sulla fronte, appigliarsi ai biondi capelli, voltare un attimo lo sguardo smarrito.

Quelle parole lo avevano scosso profondamente. Non sapeva spiegare cosa stesse provando; mai sarebbe riuscito ad immaginare che fino a quel momento Shuichi avesse atteso invano per tutto quel tempo, sopportando con tenacia il suo carattere impossibile, solo per capirlo meglio, per conoscere il suo lato oscuro.

L’Inferno è non accettare i propri errori.

Il Paradiso è perdonare i propri errori.

L’ipocrisia è far finta di essere in Paradiso.

L’oscurità è credere di essere nell’Inferno

Il terrore di aver sbagliato attanaglia,

divora l’anima fino alla distruzione.

Il terrore di non poter più fingere attanaglia

divora l’anima fino all’infinito.

– Io speravo che prima o poi ti saresti fidato di me al punto da rivelarmi tutto… – sollevò lo sguardo lucido – Invece vengo a scoprire che preferisci vivere ancora nel passato, piuttosto che provare a superare tutto! –

Il vocalist dei Bad Luck si rialzò asciugandosi velocemente le luccicanti lacrime che minacciavano di cadere.

– Se davvero volevi rimanere con Kitazawa perchè lo hai ucciso?!? –

Quella frase gli costò un altro colpo, più forte del precedente, ma questa volta andò a sbattere contro il tavolino, fece cadere a terra il posacenere ancora pieno, utilizzò quell’appiglio per evitare di crollare ancora una volta.

Si toccò la guancia sentendo il calore diffondersi lungo le punte delle dita.

– Se lo hai ucciso perchè hai questi rimorsi? – Shuichi continuò imperterrito – Quel che è fatto è fatto. Per quanto possa essere stato difficile per te dovresti iniziare ad accettarlo. –

Quel discorso così maturo, così serio non era da Shuichi, non era da lui. lo aveva sconvolto a tal punto? Era stato così cieco da poter credere che il suo affetto, il sentimento che gli mostrava ogni volta che incrociava le sue iridi azzurre, fosse un qualcosa che non sarebbe mai morto? Che avrebbe sopportato tutto?

Sì, lo credeva. Ancora lo credeva.

Afferrò saldamente il corpo minuto del diciannovenne per le spalle, si abbassò desiderando un contatto più ravvicinato, ambendo a quelle labbra che molte notti si erano lasciate sfuggire gemiti di piacere, grida estasiate sotto il suo tocco passionale ed esperto, riempiendo notti roventi.

– Io… io ti avevo amato per davvero Yuki… –

Quel leggero mormorio bloccò ogni cosa, Eiri si staccò rapidamente da lui, lo osservò quasi impaurito.

– Io avevo bisogno di te… – Shuichi si asciugò le lacrime, ormai sfuggite al suo controllo – Però adesso ho capito che tu non hai più bisogno di me!!! –

Scappò via, non lasciò all’uomo il tempo di reagire, di coordinare corpo e mente nel tentativo di fermarlo.

Il ragazzino scese le scale senza badare al fatto che aveva abbandonato le scarpe in quell’appartamento dove aveva coltivato il suo primo amore, un amore all’ombra oscura di un tradimento, di una mancanza di volontà, di una promessa non manenuta.

*

– Yuki… –

– Che c’è? –

– Mi prometti una cosa? –

– … –

– Prima o poi scorderai Kitazawa…? –

– Perchè mi fai questa domanda? –

– …sono geloso… –

– Di un morto? –

– Ho l’impressione che tu lo ami e io sono geloso. Perchè ti amo Yukiiiii!!! –

– Mpf! Stupido mocciosetto! –

Shuichi comprese però che ciò sarebbe accaduto molto presto.

*

Ancora una volta nella sua mente eccheggiarono le parole di Tohma e Tatsuha. Se volevano Yuki potevano tenerselo, lui non sarebbe vissuto come ombra di un fantasma, non avrebbe soddisfatto i desideri di chi non aveva il coraggio di cambiare, di voltare pagina.

Uscì dal palazzo senza accorgersi che una persona che conosceva fin troppo bene lo aveva salutato.

Uscì in mezzo alla folla, si scontrò con la gente, non c’era più nessuno. Esisteva solo lui assieme al suo dolore lacerante.

Tagliò la strada, un rumore acuto lo riportò alla realtà, una luce abbagliante gli accecò la vista. L’ultima cosa che vide, una luce abbagliante…

Il dolore non lo scalfì, forse era morto lì, in quell’appartamento, perchè lui, Shuichi Shindou, non poteva vivere senza Yuki Eiri.

Ed era stato abbandonato.

Il Paradiso è perdonare i propri errori.

Il Paradiso è andarsene con l’animo sereno.

Vaga errante anima perduta,

testimone delle debolezze umane,

delle fragilità dello spirito.

Vaga anima errante in cerca di conforto,

fino alla distruzione.

Yuki scese in strada, la prima cosa che vide fu un camion immobile, attorniato da un folla silenziosa.

Perforò il muro vivente con violenza, scansò i lamenti deboli con indifferenza; il vuoto lo accolse come un risucchio.

Era entrato a far parte della cornice di un macabro spettacolo.

Un biondo dai lineamenti giovani spiccò alla vista, impossibile non notare il suo morbido cappotto lungo rosso.

– Tohma. –

Il tempo di rispondere all’invocazione e il presidente della NG records si sentì scostare bruscamente, prima che potesse dire qualunque cosa, frenare quell’impatto che avrebbe segnato la completa distruzione nell’animo dello scrittore.

Gli occhi dorati scrutarono increduli il corpo privo di vita, gli occhi vacui persi nel vuoto dell’infinito. Scosse la testa come se ciò bastasse a far sembrare tutto uno stupido sogno, di quelli che aveva sempre detestato, cose infantili, da ragazzine.

Passò il dorso della mano lungo la guancia, ripulì il sangue che colava dalla fronte, sfiorò le labbra purpuree.

– Shuichi… –

– Eiri-san. – Tohma posò una mano sulla sua spalla, la strinse comprensivamente.

– E’ colpa mia… ancora… –

Yuki carezzò incessantemente la pelle morbida, conscio che non avrebbe mai più potuto farlo, che non avrebbe mai più potuto godere della sua melodiosa voce, dei suoi dolci sorrisi, dei suoi sguardi ingenui.

Aveva preteso meschinamente che comprendesse le sue motivazioni, senza che fosse mai riuscito a vedere cosa nascondessero in realtà i suoi gesti. Non aveva mantenuto la sua promessa, non l’aveva tenuta più in considerazione, perso nei meandri della sua autocommiserazione e della sua voglia di provare anche leggermente quelle sensazioni che solo il suo sensei poteva dargli.

Si macchiò la camicia di sangue, del sangue dell’unica persona che lo avesse amato senza remore, nonostante si fosse costruito un riparo dal mondo, nonostante fosse quello che era.

– Shuichiiiiii!!! –

*

– Ho l’impressione che tu lo ami e io sono geloso. Perchè ti amo Yukiiiii!!! –

– Io… io ti avevo amato per davvero Yuki… –

*

*

– Sono morto…? –

Shuichi osservò il suo corpo immobile, steso sul grigio asfalto.

– Ciao. –

Il ragazzino si voltò, una persona che non aveva mai visto gli stava sorridendo ambiguo, gli stava porgendo una mano.

– Tu chi sei? – domandò.

– Sono Yuki… –

Shuichi diede un’ultima occhiata dietro di sè, riuscì a intravedere solo Eiri e si sentì avvolgere da un braccio, venne trascinato via.

Alzò lo sguardo, sorrise.

– Yuki… –

*

L’Inferno è non accettare i propri errori.

L’Inferno è restare con l’animo frantumato.

Vaga errante anima distrutta,

testimone delle debolezze umane,

delle fragilità dello spirito.

Vaga anima errante in cerca di conforto,

senza mai trovare asilo.

Non so quante persone la leggeranno, anche perchè non mi sembra sia venuta particolarmente bene, però ho voluto scriverla, ce l’avevo in testa da stamattina. L’ultima parte tra asterischi, per chi non l’avesse intuito, è lo spirito di Shuichi che viene condotto via da Yuki Kitazawa, infatti entrambi in qualche modo sono morti per causa di Eiri Uesugi. Aggiungo che io del manga conosco qualche pezzo di anime e so la storia tramite le descrizioni del sito di nanoda, scusatemi se ho toppato in qualcosa.