Saint Seiya: The Hades Chapter – Sanctuary

Il cosmo torna a bruciare!
Questa serie di OAV proposta a partire da dicembre 2002 in anteprima sul canale satellitare giapponese Sky Perfect è finalmente giunta alla sua prima conclusione e ora spetta a noi tirare le somme di quanto visto (abbiamo aspettato finora per dare una visione globale e non in fieri). Innanzitutto la cosa più importante da dire è che si è voluti rimanere il più possibile legati alla versione originale di Masami Kurumada e questo di riflesso ha comportato anche un restyling delle armature dei cavalieri d’oro che nella serie tv erano state acconciate in maniera diversa (in particolare quella del Capricorno).

Ma ulteriormente importante è il fatto che questa serie composta di 13 episodi si riferirà solo ed esclusivamente al capitolo del Santuario ovvero la prima parte della saga di Hades e questo non può far che piacere, memori delle vecchie serie di oav che nel comprimere i fatti svilivano clamorosamente l’aspetto del combattimento che era tra l’altro la punta di diamante delle serie dedicate ai Cavalieri.

Torna quindi in scena a distanza di quasi dieci anni il cast che ci aveva fatto sognare con le vicende epiche di Seiya cavaliere di Pegasus e il suo gruppo di amici, sempre pronti a lottare fino alla morte per la loro dea Athena, reincarnata nella leggiadra fanciulla Saori (Lady Isabel per l’Italia) e torna alla caratterizzazione dei personaggi e alla direzione delle animazioni il mito vivente Shingo Araki, il chara di tutti i più grandi blockbuster degli anni 80-90 (devo fare l’elenco? Vi basta Lady Oscar e Rocky Joe?) che vista l’età aveva un po’ calato il ritmo di lavoro.

Inutile dire che la tecnica utilizzata per tutta la durata dell’anime è rimasta tale e quale a quella del primo Saint Seiya targato 1986, abbiamo quindi combattimenti ripetitivi con la caratteristica di vedere i nostri soccombere fino all’ultimo per poi rialzarsi grazie alla incredibile forza di volontà conferitagli dalla FEDE in Atena per poi vedergli bruciare il Cosmo fino all’inverosimile e battere il nemico, ma questo solo negli ultimi episodi, in quanto signori miei, in questa miniserie si da principalmente risalto ai personaggi più amati dagli appassionati dei Cavalieri dello Zodiaco e cioè i Cavalieri d’Oro, forse i personaggi maggiormente caratterizzati in tutta la serie di Kurumada, che ricompariranno tutti quanti per fronteggiarsi fino alla morte.

Il pallosissimo Pegasus si vedrà solo di sghimbescio quindi… il mondo ringrazia!

Ma di cosa parla questo Capitolo dedicato al Santuario?

Dopo la sconfitta di Poseidone, sembrava che finalmente la pace fosse giunta sulla terra e i nostri Santi, per ritemprarsi si erano salutati dirigendosi ognuno in una destinazione diversa. Ma nel mondo parallelo dell’Aldilà qualcosa covava, Pandora infatti servitrice del sommo dio Ades (nemico giurato della Dea Athena), dava ordini ad alcuni Spectre di dirigersi verso il mondo dei vivi per uccidere la Dea e dare il via alla campagna di conquista del mondo dei vivi da parte del mondo dei morti. Doveva iniziare il giudizio universale in cui i morti sarebbero risuscitati dalle tombe e avrebbero conquistato il mondo governato dall’Atena dea della giustizia (ma era davvero così nella mitologia greca? No… mi pare proprio di no).

Ma chi erano questi Spectre?

E perché conoscevano così bene il santuario e la forza dei Cavalieri d’oro?

La sapete la risposta?
Credo di si… ma comunque non ve la dico (anche se le immagini fanno testo).

Sappiate comunque che nulla di quello che vedrete sarà veramente la realtà e il motivo di questo scontro verrà spiegato solamente alla fine. Per tutta la durata degli anime troveremo a fronteggiarsi tutti i Cavalieri d’Oro rimasti in vita e cioè (Mu di Aries, Milo di Scorpio, Aldebaran di Taurus, Aioria di Leo e Shaka di Virgo) contro i 3 Spectres traditori di Atena , con la comparsa poi di new entry eccezionali tra cui Kanon di Gemini e Dohko di Libra.

Sicuramente il climax della vicenda si ha quando Shaka si ritrova ad affrontare i 3 Spectre costretti ad utilizzare l’urlo di Atena per annientarlo, un momento dal carico emotivo davvero straordinario che è stato reso egregiamente da una regia attenta a dare pienamente risalto ai personaggi senza eccessi che potevano distogliere lo sguardo dalla guerra interiore che si combatteva nei cuori dei 3 Spectre.

Alcune scremature rispetto al manga verranno fatte verso la fine della serie e di questo me ne dolgo un po’, tuttavia si può dire che si è fatto un lavoro principalmente fedele all’originale.

Lato tecnico?
Per quanto riguarda le animazioni bisogna dire che ci sono alcuni aspetti che mi hanno fatto storcere non poco la bocca, in effetti per certi versi è sembrato quasi che si siano voluti accelerare un po’ troppo i tempi di lavorazione lasciando poco spazio alla revisione delle animazioni. Ne ha risultato che talune volte l’immagine del personaggio principale stacca troppo dallo sfondo… quasi fosse appiccicata con la colla e questo avviene in particolar modo negli zoom della regia. Oltre a questo non ho ben inteso la prima vestizione di Pegasus interamente effettuata in CG, forse si voleva effettuare un colpo ad effetto, ne ha risultato però un qualcosa di dubbio gusto, fortunatamente abbandonato negli episodi successivi. Come dicevo prima, le animazioni risultano in alcuni momenti staccate tra sfondo e personaggi animati, un ulteriore particolarità è poi l’eccessivo spessore dato alla delineazione del tratto, non l’ho capita. Varia da episodio ad episodio e in alcuni punti diventa troppo elevata.

A parte questi errori e a parte l’eccessiva staticità dei capelli che nelle fasi di combattimento non seguono la dinamica del vento né della forza di gravità (se si escludono quelli di Shaka), bisogna dire che il chara design di Araki coadiuvato da Michi Imeno (Yu-gi-oh!) riprende e ripulisce molto quello già ottimo dell’ultima serie tv e si accosta qualitativamente ai livelli di Kojiro nelle situazioni statiche. Le espressioni facciali sono come sempre una eccellente prerogativa di Araki (il redivivo DeathMask è divino), un punto interrogativo come dicevo prima lo lascio in taluni punti allo spessore del tratto.

Nel complesso comunque un buon lavoro. Per la regia affidata a Shigeyasu Yamauchi (Criyng Freeman, Hana Yori Dango) non c’è molto da dire, la scelta di sacrificare la propria gloria per dare rilevanza alla sceneggiatura e all’introspezione dei personaggi è la migliore che si potesse fare visto il contesto, tuttavia un ottimo lavoro è comunque svolto in sede di realizzazione dei combattimenti, che, grazie anche ad un utilizzo non intrusivo della CG nel movimento della telecamera, riesce a rendere grandemente l’effettiva potenza dei colpi inferti dai contendenti.
Sempre tornando invece alle animazioni, l’utilizzo della CG, ad esempio nella distruzione dei templi, è sembrato invece poco verosimile, dando l’idea di una gommosità delle colonne distrutte.

Le musiche?
In verità se si escludono le due d’apertura e chiusura “Chikyûgi” e “Kimi to onaji aozora” ad opera di Yumi Matsuzawa, realizzate solo ed esclusivamente per vendere qualche singolo, si è voluto mantenere le bgm originali e già care agli appassionati della serie tv. Scelta che mi sento di condividere anche da un punto prettamente tecnico, legato alla volontà di mantenere un filo di congiunzione con la serie tv e invece staccarsi dai precedenti OAV di dubbia qualità. Negli episodi proposti da Sky Perfect poi le due nuove sigle venivano seguite sempre dai brani storici d’apertura e chiusura “Pegasus Fantasy” e “Eien Blue”.

Che dire infine per concludere?
Siamo di fronte ad una serie di OAV egregia, attesa da tantissimo tempo dagli appassionati dei cavalieri e proprio perché attesa, piena di aspettative che per certi versi vengono disattese da alcuni cali stilistici che una maggiore attenzione avrebbe potuto evitare. Questo comunque è volere andare a fare le pulci tecnicamente ad una serie il cui legame affettivo porterà comunque un po’ tutti a chiudere gli occhi su alcuni suoi effettivi limiti. Va vista, questo comunque è ovvio, ovvietà che alla maggior parte delle persone può sicuramente bastare. Intanto attendiamo una versione italiana che rinverdisca i fasti della vecchia produzione.

Recensione di Massimo Valenghi