Blood: The Last Vampire

Tra i vari, numerosi nomi (tra studi di produzione, ideatori della storia, studi che hanno realizzato le animazioni, ecc.) che ho messo sotto la voce “Produzione”, stavo quasi dimenticando di mettere quello di Mamoru Oshii, in qualità di coautore del film. Una grave dimenticanza, soprattutto se pensiamo ad alcuni film di una certa importanza che una maggior influenza e richiamo hanno avuto sul pubblico solo per la partecipazione alla loro lavorazione di un personaggio come Otomo che, tra l’altro, di suo in veste di regista non produce più nulla da parecchio (anche se un film cui lavora da anni dovrebbe essere sul punto d’essere concluso; dovrebbe …) ma distribuisce la sua firma, il suo nome ai progetti di altri.

Detto questo, vogliamo parlare del film (film? Beh, in realtà un medio metraggio, ma poco cambia), ovvero della trama, per poi passare a vedere alcuni aspetti della produzione, importanti quanto e più della storia ivi narrata?
Sì, allora cominciamo.

E cominciamo con l’allertare tutti i centri nervosi perché sin dall’inizio, ancor prima che l’azione cominci, prima che appaiano dei personaggi sulla scena, ecco che …. squilla un telefono.

Tutto qui?
Starete pensando. E la scena, di per sé, non sarebbe nulla di speciale, ma immaginatevi di vederlo di notte, nel silenzio e nel buio assoluto. Allora sì che un suono improvviso, un semplice squillo di telefono ma dal suono chiaro, vibrante e quasi echeggiante nell’aria e, per giunta, inatteso, vi sortirà altro effetto.

La scena. Un treno, una metropolitana, persone che scendono e salgono sui vagoni e, nel far questo, passano di fronte ad una ragazza, Saya, con gli occhi abbassati. Le porte si chiudono, la metropolitana si rimette in moto e tutto nei vagoni prende a vibrare; poi, in un vagone dopo l’altro le luci si spengono, Saya alza lo sguardo, vede un uomo semi addormentato, si alza nel buio che l’ha raggiunta, tira fuori una spada (una katana) da un fodero che aveva con sé, corre verso l’uomo che, accortosi di lei, cerca la fuga e lo colpisce alla schiena.

Schizzi di sangue. Quelli che prima erano solo indistinti grumi di sangue su un vetro prendono la forma di una scritta: BLOOD THE LAST VAMPIRE. Il film è iniziato da appena tre minuti.

Le luci dei vagoni, come se n’erano andate, tornano. Il treno si ferma, è il capolinea. Tutti scendono e due uomini, due americani (FBI, CIA, spionaggio, chissà cosa) arrivano e, trovata Saya e l’uomo da lei ucciso, le danno ordini speciali (investigare su delle morti/sparizioni in una scuola della base americana) ai quali solo lei può far fronte perché, come sapremo da uno degli uomini, forse lei è l’unica originale sopravvissuta. E soprassediamo tanto sull’originale quanto sul sopravvissuta.

Risposte verranno. Quel che è certo, l’unica richiesta di Saya, è che le serve una spada nuova.
Uscita dalla metropolitana, veniamo a conoscenza del dove e quando (approssimativamente) si svolge la storia.
Siamo in Giappone, un Giappone dove le basi militari americane hanno un loro peso sulla vita dei giapponesi, siamo negli anni sessanta e nelle basi americane partono e arrivano aerei militari diretti in Vietnam (lo sapremo in seguito), ma sempre intorno ad una base stanno morendo molte persone, apparentemente suicidi ma chissà.

Siamo a Halloween e alla scuola della base stanno preparando una festa per la sera. Saya va alla scuola ed incontra in poco tempo una dottoressa, scialbo ma importante personaggio più avanti nella storia, e nota due ragazze, Linda e Sharon, nella classe cui è stata assegnata. Scopre poi che degli omicidi sono stati commessi in infermeria, ed è in infermeria, poiché Linda non sta bene, che stanno andando le due ragazze, insospettendo così Saya.

In infermeria chi poteva esserci se non la dottoressa, eletta vittima di turno. Ma il piano di Linda e Sharon trova in Saya un ostacolo, poiché Linda è uccisa e Sharon, nel bel mezzo di una crisi isterica della dottoressa, è ferita e si trasforma in mostro per poi fuggire.

Ma a quale prezzo?
La spada è infranta e Saya, cancellata la memoria di quanto accaduto alla dottoressa, va a cercare Sharon. Ma sul letto in infermeria c’è pur sempre il cadavere di Linda trasformatasi in mostro. E la dottoressa, che stupida non dovrebbe essere ma lo è, allora va alla ricerca di Sharon che intanto ha chiamato in suo aiuto altri mostri. Saya seguendo la dottoressa trova Sharon divenuta mostro e prova a combatterla con una spada rubata da un antiquario, ma la spada è falsa e sortisce misero effetto. La dottoressa riesce a scappare e trova un soldato al quale chiede aiuto, ma l’uomo muore (oltre che stupida la donna deve portare anche sfiga) ucciso da un mostro dal quale lei si salva grazie a Saya.

Le due si rifugiano insieme (grande sbaglio, stare con una porta sfiga) in un hangar, e Saya ci svela la natura dei mostri: sono degli oni che vivono grazie al sangue degli uomini e muoiono solo in seguito a gran perdita di sangue. Saya dà alla donna una pistola da usare su se stessa nel caso fossero spacciate, e chiestole chi è, Saya risponde dicendo che lei non può uccidere gli uomini.
Rinchiuse dai mostri nell’hangar, la dottoressa uccide del tutto fortuitamente uno dei mostri, ma attaccata da un altro e salvata di nuovo da Saya cerca di suicidarsi ma viene distolta da quest’intento sempre dalla nostra eroina (le ha salvato la vita un casino di volte) che la convince ad abbattere le porte dell’hangar con la jeep, cosa in cui riesce. Arriva uno degli uomini visti all’inizio, dà una spada a Saya che uccide prima il mostro dentro l’hangar, poi un altro mostro volante in fuga inseguendolo sulla jeep.

La dottoressa, sparita Saya, è interrogata da alcuni americani, cui vorrebbe chiedere spiegazioni, anche perché nella scuola è come se non ci fossero mai state tanto Linda quanto Sharon, l’infermeria che ricordava devastata era intatta, e nessuno sa niente di Saya. Ma neanche questi uomini possono dirle nulla, però facendole vedere una foto con la dicitura “Vampiri 1892” le chiedono, indicandole una ragazza, se Saya fosse quella o meno. Lasciata andare, la dottoressa finirà col chiedersi se mai nulla di ciò che ricorda sia avvenuto e, se così fosse, che cosa sia accaduto a Saya. Si vede decollare un aereo e si sente una voce che parla di una guerra tra America e Vietnam, poi … lo schermo si fa scuro, partono i titoli di coda ed immagini, sullo sfondo, della guerra in Vietnam.

Per essere durato solo tre quarti d’ora, un film veramente pieno (per non dire traboccante) d’azione e suspence.

Perfetto dall’aspetto della realizzazione delle animazioni (fatto in full digital animation, uno dei pochi esempi di film fatti con questa tecnica) quanto sotto l’aspetto delle musiche, tutte ben eseguite ed adeguate (per farla breve, del tutto azzeccate).

Cosa dire dell’atmosfera creata se non che ricorda quella che si vede in alcuni film giapponesi degli anni cinquanta e sessanta e viene da chiedersi se la scelta di colori non forti ma dalle tinte sbiadite fosse forse adeguata proprio al desiderio di avvicinarsi all’atmosfera di quei film. Ed ancora i due personaggi principali, Saya e la dottoressa, sono la trasposizione di due stati d’animo ben delineati e definiti, rispettivamente la rabbia/combattività e la paura/isteria, dai quali ben di rado l’una e l’altra si staccano.

Anche se Saya, esempio forse più unico che raro, mostra una bellezza particolare quando, gli occhi permeati di tristezza, dà alcune gocce del suo sangue all’oni volante che pure lei stessa ha ucciso, forse pensando che quell’oni potesse essere come lei l’ultimo sopravvissuto della sua specie.

E’ quindi un gran film che condensa una trama ben fatta e sviluppata in tre quarti d’ora, lasciando, è vero degli interrogativi, però a questi si può trovare risposta magari cercando dentro di noi, ognuno pago delle proprie risposte a quelle domande che, fosse stato un po’ più lungo, magari avrebbero avuto una risposta fornitaci dagli autori del film.

Un bel film che purtroppo non possiamo sperare assolutamente di vedere nei cinema italiani, sia per la lunghezza, che per la violenza. Speriamo allora almeno nell’uscita di un DVD, nella nostra lingua, che ne valorizzi l’audio ed il video al massimo.

Recensione di Alessandro Taranto