Alexander

Normalmente le recensioni dovrebbero limitarsi alle tre unità di tempo, spazio e azione, senza cioè uscire dai confini dettati dall’oggetto da valutare in sé. Bene, questo NON è quel genere di recensione: la visione di Alexander (che, lo anticipo a quelli tra voi più impazienti, è un CAPOLAVORO) sembra fatta apposta per aprire delle riflessioni su come l’animazione giapponese sia mutata in questi ultimi anni, da quel 1995 che, con Evangelion, sconvolse i parametri estetico-narrativi del mondo animato nipponico, e non solo.

Nato in un primo tempo come prodotto che trovava la propria ragione d’essere e il proprio target nell’elite degli otaku e dei cultori dell’animazione “alternativa”, NGE dimostrò come l’autorialità potesse tradursi in commerciabilità, come l’altà qualità potesse portare profiquità, come insomma il pubblico fosse pronto, anzi chiedesse, stimoli intellettuali nuovi ad un genere che, eccettuati i maestri, pareva destinato al puro entertainment senza pretese. Tutta la new wave dell’animazione giapponese ha metabolizzato la lezione di Eva, in alcuni prodotti solamente dal punto di vista estetico, in altri con una maggior cerebralizzazione del comparto narrativo, in altri ancora (ad esempio SE Lain) con una quasi ostentata sperimentazione visivo-narrativa. Questa, a mio avviso necessaria, premessa serve ad introdurre il titolo in questione, Alexander appunto, uno dei migliori figli di questa nuova impostazione culturale: fin dalla collocazione in generi risulta un titolo “alternativo”, di difficile collocazione, sia dal punto di vista narrativo che da quello più propriamente visivo.

Tratto dal romanzo omonimo di Hiroshi Aramata (sceneggiato da Sadayuki Murai), la serie narra le gesta di Alessandro, poi detto “Magno”, dalla nascita fino all’apoteosi come sovrano del Mondo, miscelando elementi storico-biografici veritieri ad altri mitici se non di pura invenzione narrativa.

Nato da re Filippo II di Macedonia e da Olimpiade, principessa d’Epiro e sacerdotessa del culto apocalittico dell’isola di Samotracia, Alessandro è, secondo un vaticinio della madre, destinato a distruggere il mondo! E mentre oscure forze legate ai maestri del pensiero antico si mobilitano contro la minaccia da lui rappresentata, lo stesso principe e poi re di Macedonia si dibatte fra la volontà distruttrice della madre e la sua indole di conquistatore (“Conquistare per distruggere o per governare?“).

Ma che significato ha veramente la distruzione?

Qual è il significato del Solido Platonico, l’Ente geometrico assoluto che racchiude in sé la conoscenza suprema?

Qual è il ruolo di Alessandro nelle sibilline profezie del sommo saggio Pitagora, il primo scopritore il significato ultimo del Cosmo?

Sono solo alcuni dei molteplici interrogativi posti lungo le 13 puntate di questo anime, domande in larga parte lasciate all’interpretazione dello spettatore.

Ho già esposto in precedenza la “rivoluzione” Evangelion, e questa serie ha ben appreso la lezione dello studio Gainax : Alexander si presta infatti a molteplici interpretazioni da parte dello spettatore, presentando diverse chiavi di lettura al di là della storia in sè, percorsi narrativi lasciati alla sensibilità ed alla cultura dello spettatore; tale impostazione è rafforzata dalla scelta estetico-narratva di ambientare le effettive vicende storiche in un mondo meta-storico, in cui convivono personaggi ed elementi storicamente coerenti con altri misticheggianti e pseudo-fantascientifici, con forti influenze steampunk, generando un pastiche visivo complesso ma affascinante, adatto a meglio trasmettere il messaggio intellettuale sopraesposto.

Parlando dei meriti tecnici di questa serie è impossibile non citare lo straordinario lavoro di designer del maestro Peter Chung: già noto per la serie Æon Flux, in cui aveva dato modo di mostrare il suo particolarissimo stile visionario, in Alexander Chung ha portato alle estreme conseguenze la sua arte: seppur debitore del tratto di disegno pulito nipponico, lo ha reinterpretato sintetizzandolo con la ricercatezza dei tratti tipica del design americano, tenendo però ben chiara la lezione del maestro francese Möbius e di tutta la scuola fumettistica europea; il risultato sono figure estremamente plastiche, quasi stilizzate, in cui ad una resa anatomica che sintetizza quasi arbitrariamente linearità e ricercatezza figurativa si sposano volti e dettagli corporei quasi barocchi nella loro definizione (basti pensare alle labbra dei personaggi), nonché una cura quasi maniacale nel vestiario e negli ornamenti. Intervistato riguardo a Æon Flux, Chung ha giustificato questa sua scelta estetica in chiave escatologica, spiegando che il voler ritrarre corpi quasi irreali nella loro raffigurazione riccamente, o comunque originalmente, vestiti e volti estremamente dettagliati vorrebbe creare una sorta di dicotomia fra essere (i corpi, il reale umano nel suo essere indefinibile) ed apparire (il look in generale, inteso come tentativo di appartenenza e quindi di ricerca esistenziale), problematica insita anche a livello narrativo nelle due serie.

L’essere designer unico ha permesso inoltre a Chung di dare al prodotto una notevole omogeneità stilistica, dando ai suoi personaggi la possibilità di muoversi su sfondi ed ambientazioni perfettamente in tema, caratterizzate maniacalmente dal punto di vista figurativo e architettonico ed in perfetta sintonia col contesto narrativo meta-storico sopradetto: città, palazzi, templi e monumenti sino agli abiti dei personaggi, pur ispirati al modello antico, vengono reinterpretati rivelando contaminazioni da diverse filosofie estetiche, dallo steampunk al post industriale al cyberpunk, senza però che questa apparente disomogeneità crei stonature o forzature, anzi rivelandosi estremamente coerente con la filosofia del prodotto; stesso discorso per il mecha design, importante in una serie dove non poche sono le battaglie fra eserciti, in cui ad una fanteria quasi meccanica si affiancano robot e carri armati, velivoli e fantasiose truppe speciali con chiare connotazioni fantascientifiche.

Un tale comparto grafico poco o nulla varrebbe senza un’adeguata regia ed animazioni all’altezza, ma fortunatamente questo NON è il nostro caso.

Per quanto riguarda le animazioni, il nome Madhouse nella lista dei produttori è già di suo una garanzia di qualità: ottime animazioni, pur se con qualche riciclo di sequenze, comunque non fastidioso, che perfettamente si sposano con il complesso apparato grafico descritto sopra; una menzione va fatta per la particolare colorazione e per la direzione della fotografia, che alternano l’uso di chiaroscuri e di forti contrasti cromatici a particolarissime tinte pastello, specialmente negli sfondi, conferendo un ulteriore tono onirico all’insieme.

La regia, di suo, presenta come garanzia Rintaro come direttore di produzione e il navigato Yoshimuri Kanemori alla regia, dando all’anime il giusto equilibrio fra scene d’azione e di battaglia, realizzate queste ultime con un notevole gusto “epico”(e citando non poco l’Arion di Yasuhiko), e momenti introspettivi, senza rinunciare a qualche flashback così di moda (comunque perfettamente inserito nella narrazione) e a due o tre sequenze “sperimentali”; in ogni caso un lavoro eccellente. L’unico aspetto forse meno curato sono le musiche, che, seppur di buona qualità e perfettamente adatte alla storia risultano decisamente poco incisive, eccettuata la notevole sigla finale (che comunque credo, ma non vorrei sbagliarmi, essere non originale): tale scarsa incisività può comunque leggersi come precisa scelta d’autore, vertendo la serie principalmente sull’immagine e, soprattutto, sul dialogo.

Non credo sia necessario sottolineare il come sempre ottimo adattamento made in Dynamic, favorito anche dall’ “occidentalità” della storia, nonchè il perfetto doppiaggio, che merita la menzione di Dario Penne-Aristotele e di Giorgio Lopez-Diogene.

Recensione di: Ivan aka “Tabris”