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1. Death
Le assi di legno del pavimento scricchiolavano sotto i suoi piedi mentre Roxas camminava nella sua stanza e si voltava a guardare alla sua sinistra, fuori dalla finestra; il sole ormai prossimo a tramontare pareva una enorme sfera dorata quella sera, e il sentimento di oppressione che sentiva lo spingeva a pensare che anche quello, vinta la forza di gravità, gli sarebbe caduto sulla testa e lo avrebbe schiacciato come un insetto. Mentre si dirigeva verso il pianoforte, quasi istintivamente, con le mani nei capelli e la testa in preda a vorticosi pensieri, la stanza pareva ingrandirsi all’infinito, e gli pareva quasi fosse passato un secolo dal suo arrivo a quando riuscì a sistemarsi sullo sgabello nero. Prima di suonare, un forte respiro; cercava con le mani di scacciare via i suoi pensieri che lo avrebbero distratto, inutilmente, scioccamente, come se fossero mosche fastidiose.
Riuscì per un secondo a trovare quella calma che gli era sembrata persa da una vita, come se ormai la tranquillità del passato fosse appartenuta a un’altra persona, e ormai per lui sarebbe stata impossibile da raggiungere.
Con la mente sgombra per un istante, incominciò a suonare.
«Sei davvero bravo.. e questa canzone è stupenda.»
«Ti piace davvero? L’ho scritta io»
«Davvero? Io non ne sarei mai capace. Resterei ore ad ascoltarla.»
«Grazie.. in questo caso è per te. Te la dedico»
No.. non ancora. Roxas, che aveva tenuto per tutto il tempo la testa china sulla tastiera, non riuscì a impedire al suo sguardo di sollevarsi, attirato come una calamita a una foto, appoggiata con grande cura sul pianoforte, l’unico oggetto in quella stanza, che iniziava a stringersi, opprimente, che non fosse coperto da un velo di polvere.
Raffigurava un trio di persone. Due ragazzi, e al centro lei. Con gli occhi che erano un oceano, grandi e azzurri come un cielo senza una nuvola, senza un’ombra. Sorridevano insieme alla bocca di pesca, piccola, graziosa; ma un sorriso non per nascondere una lacrima, un sorriso autentico, per la semplice felicità di trovarsi proprio lì; negli occhi la consapevolezza, mista forse allo stupore, di essere tra amici, che non si aspettava di riuscire a trovare, non lei. La sua timidezza si scontrava invece con il viso sicuro e carico di spavalderia del ragazzo alla sua destra, con una espressione perennemente scherzosa, a volte quasi canzonatoria, gli occhi sottili verde smeraldo colmi di vivacità e di vita, circondati da una chioma di capelli rosso fuoco, che rilucevano sotto la luce del sole di mille sfumature. Infine, alla sinistra, un ragazzo dai capelli biondi, chiarissimi, quasi in contrapposizione con quelli corvini della ragazza, che si appoggiava leggermente alla sua spalla, e lo sguardo sereno e soddisfatto. Tutti e tre indossavano una uniforme scolastica azzurra, con un cravattino e una camicia bianca.
Felicità, speranza, gioia: era stata scattata esattamente in quel giorno, poche ore prima.
Roxas ricordava ogni dettaglio, come se fosse successo solo un attimo prima.
«Ma quando arriva il pullman? Non ce la faccio più».
«Sì, ma questa è l’ultima volta che ci tocca di aspettarlo».
Roxas aveva riposto il cellulare sul quale aveva controllato l’ora in cartella e aveva sorriso ad Axel
«Hai ragione».
«Naturale».
Passarono qualche minuto in silenzio.
«Allora, per domani? È tutto a posto?».
«Dai, Xion, non incominciare anche tu, Roxas me lo ha già chiesto tre volte stamattina».
«Lo so.. ma non posso aspettare.. era da tanto che volevamo andare al mare»
Finalmente erano incominciate le vacanze estive. Già da qualche giorno il sole picchiava sulla pelle in maniera insistente, e gli studenti reclamavano il tanto agognato riposo, dopo un anno pieno di avvenimenti.
Anche Axel, Roxas e Xion erano impazienti di indossare il costume e tuffarsi nel mare, a poca distanza da Twilight Town, la città in cui abitavano, mangiare cocomeri, stare alzati tutta la notte. Già da qualche mese avevano programmato quella gita; era stata un’idea di Axel per consolare Xion, che proprio in quel momento non stava vivendo un periodo molto felice. Da quel giorno però, ogni preoccupazione poteva dirsi lasciata alle spalle e dimenticata, almeno per i prossimi due mesi.
«Andrà tutto per il verso giusto. Me lo sento»
Il pullman era arrivato in ritardo anche quel giorno. Erano saliti per primi, come sempre, si erano appropriati degli stessi posti di sempre.
Le mani di Roxas percorrevano i tasti del pianoforte velocemente e con grazia; dovevano sapere loro stesse dove andare, perché la mente di Roxas era altrove, persa nei meandri della memoria che aveva cercato per giorni di ignorare.
Avevano parlato un po’, ma in quel momento erano in silenzio; tutto taceva, come quando ci si prepara a qualcosa di importante e le parole non servono più. Roxas aveva guardato a lungo il volto di Xion. Era appoggiata al finestrino del pullman, pensando a chissà cosa, forse proprio alle meraviglie della giornata di domani, con lo sguardo tra l’annoiato e il sognante. La posa scomposta, una mano a pugno sul mento, qualche filo della frangetta posto distrattamente sull’occhio: era perfetta, come negarlo?
Non poteva più mentire a se stesso, lo sapeva da secoli, forse dal primo giorno che si erano visti.
Sentiva un calore che partiva dal suo petto e gli arrivava fino alle guance; stava arrossendo, lo sapeva, ma non poteva farci nulla. Aveva lo sguardo fisso sulle sue mani, sicuramente inadatte, con qualche unghia un po’ rovinata, imperfette, non certamente all’altezza di quelle di lei, che erano lì, perfettamente curate, impeccabili, appena a due centimetri dalla sue, ma che distanza irraggiungibile sembrava, quasi chilometri.
Eppure le doveva raggiungere. Era sciocco aspettare ancora.
Il cuore batteva sempre più forte. Dietro di sé sentiva Axel che messaggiava col cellulare. Perché era così difficile? La sua mano era così pesante, così poco aggraziata, forse non sarebbe mai più riuscito a sollevarla, sarebbe rimasto bloccato lì e Xion avrebbe riso di lui, che stupido.
«Coraggio!» Pensò a denti stretti.
Xion emise un sospiro. Oh no! Forse si rendeva conto del suo imbarazzo?
Con uno sforzo immenso, quasi dovesse sollevare una montagna, riuscì a spostare la mano di un centimetro più avanti.
«Ehilà, piccioncini! Come va qui avanti?»
Axel! Gli avrebbe spaccato il sedile sulla testa. Aveva ritirato istintivamente la sua mano, e Xion si era messa a ridere, intimando ad Axel di piantarla, con un tono falsamente minaccioso.
Stavano così bene insieme.. no, no, stupido, che cosa vai a pensare. Smettila. Prendi la sua mano e basta.
Intanto lei si era rigirata verso il finestrino, lanciandogli prima un sorriso d’intesa. «Ce la puoi fare»
Quel piccolo gesto lo aveva rinfrancato. Ora era pronto. Aveva teso la sua mano avanti, sempre più vicino.. ma era stata lei ad afferrare la sua per prima, in un secondo fugace, e gliela stringeva stretta. Roxas era sorpreso, e aveva alzato la testa con uno sorriso stupito, quasi beato dipinto sulla bocca, che non aveva fatto tempo a sfumare, tanto fulmineo era stato il momento, da quando si era accorto dell’occhiata terrorizzata della ragazza a quando invece non aveva visto più niente.
Ora Roxas non controllava più le sue mani. Tremavano ed erano fredde, rigide. Il suo corpo iniziava a tremare, sebbene fosse estate, sebbene fosse caldo.
Non doveva andare oltre.. basta con quei pensieri, strazianti, orribili, a che cosa sarebbe servito torturarsi ancora di più? Ma l’incubo che lo affliggeva ogni notte era tornato e non c’era modo di tornare indietro.. non più.
L’orrore era iniziato.
Roxas non riusciva a capire per quanto tempo avesse perso i sensi. Si era alzato dalla rovine del pullman barcollando un poco, con un dolore fitto e lancinante alla testa. Aveva le braccia e le gambe ricoperte da tagli, ma quantomeno si reggeva in piedi. Trasse qualche respiro profondo mentre cercava di ricordare come fosse finito lì.. infine, con un orrore crescente ogni cosa gli era tornata alla mente: il pullman, il burrone, l’incidente.. Xion. Dov’erano Xion ed Axel? Lui non era gravemente ferito, e la sua priorità era ritrovare i suoi amici. Si era guardato intorno, cercando di analizzare la situazione. Si trovavano vicino a una scarpata. Dovette fare un passo indietro, per evitare di cadere nel precipizio, del quale si accorse con un sospiro di sollievo, ma anche di fredda paura. Intorno a sé sentiva i gemiti di feriti e le sirene delle ambulanze. In quell’esatto momento vide una ragazza alla sua destra: una lamiera le aveva tranciato via una gamba, e lei piangeva dal dolore con urla strazianti, mentre dei medici cercavano di posizionarla su un lettino.
Roxas sentiva il sudore freddo scendergli per la schiena. E se..?
Non riusciva a formulare il pensiero. Decise di non fare speculazioni su come avrebbe potuto ritrovare Xion.. se l’avesse trovata. Non sentiva neanche più il dolore mentre cercava disperatamente in giro un segno della presenza dei suoi amici, un ciuffo di capelli rossi o il bagliore di un occhio azzurro oceano, e un cenno per indicare che stavano bene.
Quando iniziavano a bruciargli gli occhi, finalmente aveva intravisto Axel; l’amico era steso su una barella senza aver perso comunque la sua aria di spavalderia.
«Axel! Stai bene?»
«Una gamba rotta. Niente di ché» aveva detto con un sorriso, che si era trasformato presto in una smorfia di dolore «Dov’è Xion?»
«Non è con te?»
Si guardarono un secondo terrorizzati. Forse, lo sapevano già.
«Roxas, siamo vicino a una scarpata..»
«No..»
«Mi sembra.. l’ho vista.. era confuso, è.. è stata.. sbalzata in avanti e..»
«Non può essere..»
«Non sono riuscito ad afferrarla..»
«Non ti credo!»
Stava gridando. Tutta la felicità che aveva provato trovando Axel era svanita di colpo e completamente. Perché gli diceva quelle cose? Erano solo bugie.
«Non la trovano da nessuna parte.. una spedizione..ehi! Fermati! Dove stai andando?»
«A salvarla, dato che tu non lo puoi fare»
Ripensandoci, forse era stato un po’ ingiusto con Axel. Le sue mani tremavano sempre più e iniziava a sbagliare qualche nota.
«No.. no..»
La scarpata era alta, ma c’erano degli spuntoni di roccia che gli avevano permesso di scendere fino a valle. I battiti del suo cuore acceleravano sempre più, mentre scendeva, dimentico di ogni pericolo, ma con la sola paura di non arrivare abbastanza in fretta. Non badava a quasi a dove metteva i piedi, eppure sarebbe bastato un passo falso.. fortunatamente, era caduto quando ormai mancavano pochi metri; si era slogato una caviglia, ma continuava a correre ugualmente.
«Xion! Xion!»
Niente. Era il tramonto e mentre si avvicinava la sera i grilli incominciavano a cantare. Era disperato. Forse avrebbe dovuto aspettare ancora un poco..? Poi..
«R-rox-as»
«Xion! Dove sei?»
È ancora viva.. sì. Va tutto bene, ce la farai.. resisti solo un secondo.
Si era fatto largo tra il fogliame e finalmente l’aveva vista: sdraiata per terra, gemente.
Si era inginocchiato vicino a lei.
«Xion! Finalmente! Credevo che tu..»
Si era bloccato di colpo. Le aveva afferrato la mano, e subito le sue mani si erano tinte di rosso. Un bastone di ferro le perforava lo stomaco, da parte a parte. Di colpo era stato preso dalla nausea, gli veniva da rimettere.
Eppure lei lo guardava sorridendo.
«Sei arrivato..»
«No.. è troppo tardi.. è colpa mia se tu..»
«No..! Non dire così..»
Sangue ovunque. Gli si stava annebbiando la vista.
«Sta arrivando una spedizione. Ti salveranno in tempo, te lo prometto»
«Roxas.. non è più possibile.. perdonami.. non potrò venire al mare con te e Axel.. lo avrei voluto tanto»
«Aspetteremo! Qualche giorno dopo non farà la differenza»
Continuava a sorridergli. Con gli ultimi sforzi, gli aveva carezzato il viso dolcemente.
«Hai visto? È il tramonto.»
«Sì..»
«Non voglio che tu sia triste il nostro ultimo tramonto insieme»
«Ce ne saranno altri! Non dire così»
Ora capiva il suo sorriso. Lo stava compatendo. Non riusciva a sopportare il suo sguardo, il suo sorriso, avrebbe voluto essere cieco, eppure non riusciva a staccarle gli occhi dal suo viso.
«Tieni questo, Roxas» in una mano stringeva un bastoncino di legno. Roxas lo aveva preso. “Hai vinto”.
«A me non serve più.. Roxas»
Non sapeva più cosa dire. Aveva la gola secca e le labbra screpolate.
«Sono stata felice di averti conosciuto.. ooh.. e certamente anche Axel.. vuoi due siete i miei migliori amici.. non dimenticare mai. Questa è la verità»
«Xion, io ti..»
La sua mano ancora tiepida era scivolata via dalla sua guancia; lui l’aveva afferrata forte, mentre i suoi occhi azzurri lo guardavano per l’ultima volta e si chiudevano, mentre la morte crudele e ingiusta avvolgeva il suo corpo.
Finalmente Roxas aveva dovuto arrendersi all’evidenza della situazione: Xion era morta, non si sarebbe più svegliata, non avrebbe più visto il suo sorriso meraviglioso, non sarebbero mai andati al mare insieme.
Un vortice di sentimenti lo spingeva verso un buco nero, del quale non vedeva il fondo, aveva il magone alla gola. E finalmente calde lacrime scendevano sul suo volto, il buio lo avvolgeva mentre sentiva lontano anni luci le sirene dell’ambulanza, e le voci di alcuni uomini scesi per la scarpata a soccorrerli, disgraziatamente, un minuto in ritardo.
E anche adesso gli scendevano calde lacrime sul volto. Le sentiva scivolare pesanti fino al petto, bruciargli il cuore, poi fino allo stomaco. Si sentiva come quel giorno. La nausea lo avvolgeva, mentre si costringeva a suonare ancora.
D’un tratto, d’improvviso, come il un raggio di sole buca il cielo in una giornata di pioggia, vide delle mani, belle, aggraziate, perfette, suonare affianco le sue, ancora una volta inadatte, ma non se ne curava più. Non aveva più importanza.. nulla aveva più importanza.
La musica era giunta al termine ormai. Un’ultima nota, e smise di suonare.
Si voltò. Lei era lì. I suoi capelli corvini, gli occhi come un oceano, la perfezione e l’armonia del suo volto. Una gioia, oh dolcissima frenesia, non si sentiva così vivo da giorni oramai.. o forse erano passate solo poche ore?
La guardò un attimo, incantato. Lei ricambiava lo sguardo.
«Lo sapevo.. lo sapevo che saresti tornata. Questa è la canzone che ti piaceva tanto»
Lei continuava a sorridere, ma le scendevano le lacrime. Il suo sguardo era indulgente, tremava con tutto il corpo.
«Non sono tornata»
«Che.. che cosa stai dicendo? Xion..»
Provò ad afferrarla, ma la sua mano le passò attraverso. Sembrava poco più di un fantasma, e anche la sua pelle era pallida e bianca come il latte.
Avvertiva che la sua mano era bagnata.. dalle lacrime..? Si era sbagliato. Il sangue riluceva alla luce del tramonto.
«Sei ferita..»
Scuoteva la testa, facendo segno di no. Che cosa sta succedendo?
«Roxas.. perché l’hai fatto?»
Roxas distolse lo sguardo per un secondo.. non erano lacrime a bagnargli il volto. Era sangue. Era il suo sangue. Di nuovo la verità.. Xion non poteva tornare. Avvertiva come se avesse del metallo nello stomaco. Le mani erano prese da un tremolio convulso, mentre la nausea lo assaliva ancora una volta. Tutto il suo corpo presto fu scosso dalle convulsioni. Con la vista annebbiata si voltò verso la ragazza, per avere un’ultima visione di lei.. ma non c’era più. Forse non c’era mai stata.
«I-i-o-nn»
Mentre fuori moriva il sole in un mare di sangue, una brezza gelida entrava da uno spiraglio della finestra: mentre fuori il mondo continuava a vivere, dentro un ragazzo era morto da tempo. Accasciato su un pianoforte, stringendo un bastoncino di legno e una foto di visi sorridenti, un rivolo di sangue fuori dalla bocca che cola in una pozza sul pavimento. Un tintinnio, un rumore metallico: qualcosa cade sul pavimento, mentre l’ultimo spiraglio di luce del giorno illumina una scatola di pastiglie vuota.
è bellissimoooo!!!! mi sono messa a piangere!!! è molto triste!!! chi se lo sarebbe aspettato una fine simile??? sei bravissima mimiru,spero che continui a mettere su fanfic!!!! avvisami se ne metti un altro!!!! 1000 stelle…!!!!!!>commossa
Oh grazie, sei tu che mi commuovi! Sono imbarazzata >//< Anche su face mi hanno detto che li ho fatti piangere! Un po' ho pianto anch'io, per la verità, mi sono depressa da sola, che impiastro! Certamente scriverò ancora!