I Capitolo: Una pugnalata nella schiena
Erano ormai finite le guerre nere, Vereda, Senilik e Malh, le tre gemelle erano già morte per mano del figlio di Malh, e sul trono del regno degli elfi del buio sedevano Astron “Lungalancia” Rayveck, il figlio di Senilik e Aighet, un uomo dai capelli neri e gli occhi verdi, non particolarmente bello per essere un elfo, ma quel posto lo prendeva sua moglie, Shakeir Marnarat, dai capelli verdi e gli occhi viola come due ametiste.
Il re e la regina avevano due figli. Il maggiore Aighet, chiamato così in onore di suo nonno, e la più piccola Fraya, che era un’ elfa bellissima, tanto che superava anche la madre. Aveva occhi verdi e capelli viola e ondulati, che amava acconciare con una morbida crocchia in cima alla testa lasciando altri capelli sciolti sulle spalle e sulla schiena. Un viso sottile, il naso dritto e labbra sottili. Aveva un carattere dolce e spensierato, raro per un’ elfa del buio. Molti suoi amici scherzavano chiamandola Nemes, per via della sua bellezza e dai suoi occhi verde smeraldo come quelli della dea e del padre. Fraya aveva già molti pretendenti quando ha inizio la nostra storia, sebbene avesse solo vent’ anni, che per un’ elfa sono pochi, visto che sarebbe diventata maggiorene ai trenta. Ma lei li ripudiava tutti, non ne voleva sapere di essere innamorata a quell’ età così poco avanzata, e allora non accettava nessuno, che fosse un nobile ricco o un contadino. Ma per sua sfortuna la nostra ragazza si andò a innamorare proprio dell’ unico elfo che non era innamorato o attratto da lei. Quest’ uomo aveva capelli blu e occhi viola prugna. Era molto alto e abbastanza muscoloso, con un viso sottile e affilato, la bocca sottile e il naso a punta.
Fraya covava questo suo amore in segreto in modo che ne il fratello, a cui voleva molto bene, ne i genitori lo venissero a sapere. Cercava di dimenticarlo leggendo, giocando o svagandosi in vari altri modi, e quasi ci riuscì, ma la fortuna doveva proprio esserle avversa, perché un giorno quel ragazzo che tanto l’ aveva fatta patire si presentò nel palazzo di Senilik, la capitale del regno degli elfi del buio, chiedendo al re e alla regina di essere ospitato da loro. Naturalmente i genitori di Fraya accettarono, e allora Rowan, così si chiamava, venne alloggiato in una stanza.
Fraya non ne poteva più di vederlo sempre lì; l’ avrebbe volentieri allontanato a calci nel sedere, ma quando se ne andava ad allenarsi con l’ arco in giardino le si spezzava il cuore anche se era a due passi da lui. La notte non dormiva, anche se questo non aveva effetti collaterali su il suo aspetto, ma diventò irascibile e nervosa. Piangeva di nascosto non sapendo neanche il perché, ma supponeva fosse colpa di Rowan.
Allora un giorno si decise a dichiararsi.
Una notte aspettò che l’ elfo fosse uscito in giardino, si appostò dietro a un cespuglio, e aspettò che arrivasse il momento adatto. Questo si presentò non appena Rowan si sedette sull’ erba a contemplare le stelle e a mormorare a bassa voce i loro nomi e quelli delle costellazioni:
-Arinden, la stella danzatrice, Sharky e Ykras le gemmelle guerriere, Marmon la stella dell’ Est, Ralecar la stella del Sud, Scianza la stella dell’ Ovest e Carmar la stella del Nord- lo sentì elencare Fraya.
Uscì il più silenziosamente possibile dal cespuglio e si avvicinò all’ elfo. Non appena lui la sentì, Rowan balzò in piedi a inchinarsi davanti a Fraya con la sua solita espressione seria, indagatrice e allo stesso tempo lontana che piaceva tanto alla principessa.
L’ elfo alzò il suo sguardo indagatore verso l’ elfa, che si sentì come se fosse nuda lì davanti all’ elfo e le sue guance si colorarono di rosso.
-Cosa fate qui ? – le chiese l’ elfo del buio con il tono più cortese possibile, ma la sua voce suonò sgarbata anche alle orecchie innamorate di Fraya.
-Vi osservavo , – rispose intimidita l’ elfa – siete molto bravo a tirare con l’ arco!
-Vi ringrazio
-Posso farvi una domanda ? – gli domandò l’ elfa
-Chiedete pure !
Fraya era invasa dal terrore:
I-o vi piaccio ?
Rowan sorrise, il primo sorriso che lei gli vedeva fare:
-Perché me lo chiedete ?
-Perché… – Fraya era in preda a un’ emozione indescrivibile, si sentiva torcere le budella e pensava che prima o poi avrebbe vomitato – perché tu mi piaci tanto – ecco l’ aveva detto. Sentì come un peso levarsi dallo stomaco e arrivarne un’ altro ancora più pesante.
Rowan sorrise ancora, ma stavolta c’ era una punta di derisione nel suo sorriso:
-Già! Sentite principessa, mi fa un gran piacere piacerle, ma sa com’ è, lei non mi piace, e non fatevi troppe illusioni!
Fraya sentì come un pugnale di ghiaccio che le si conficcava nel cuore e si rigirava nella ferita cercando di farvi uscire più sangue possibile. Stette immobile a guardare fisso innanzi a sé non facendo caso all’ elfo che le passava accanto sorpassandola come se non esistesse. Poi tutto sparì per lasciare spazio a una rabbia cieca che pian piano le risaliva le viscere per insinuarsi nella ferita che le aveva aperto il pugnale di ghiaccio. Chiuse gli occhi mentre una voce dolce le sussurrava parole di conforto:
Non pensare più a quello lì, abbraccia l’ oscurità dei Drow che ancora risiede in te! Accogli il buio e la rabbia che sole ti potranno salvare dal tuo dolore, accoglimi come tua amica, e diventeremo inseparabili! Uccidi chiunque tenti di prendersi gioco di te! Uccidi l’ elfo! Uccidi Rowan che tanto ti ha fatto patire!
Quando Fraya aprì gli occhi, essi si erano schiariti, ma le pupille si erano ancora più assottigliate e allungate, fino a che sembravano solo due linee nel verde intenso degli occhi.
Pian piano si girò verso Rowan che si incamminava lentamente verso il castello. Un pugnale con l’ elsa a forma di serpente si materializzò in una luce verde nella sua mano senza che lei pronunciasse o anche pensasse alcun incantesimo.
Fraya osservò il pugnale con uno sguardo che non lasciava travedere alcuna emozione. Se lo rigirò tra nella mano, passò il dito su piatto della lama.infine lo avvicinò al viso. Una magia molto potente emanava quella lama, una magia oscura. Riaprì gli occhi e lentamente li puntò su Rowan che ignorante del pericolo continuava a camminare tranquillo. Piano piano Fraya si portò il pugnale all’ indietro, lo lanciò, e questi si conficcò con un rumore secco nella spalla dello sventurato elfo. Questi urlo di dolore, ma il castello era lontano e nessuno poteva sentirlo. Cadde bocconi a terra. Fraya si incamminò lentamente verso di lui. Una spada con cuore di smeraldo1 e un’ elsa con una testa di drago comparve nella sua mano destra, anch’essa avvolta nell’ alone di luce verde in cui era comparso il pugnale.
Quando raggiunse l’ elfo lo rigirò con il piede per guardarlo dritto in faccia e gli disse:
Nessuno si prende gioco di Fraya – poi gli conficco la spada nel petto senza fare caso agli occhi preganti.
***
Siss , la dea della vita, si accomodò meglio sul divano di piume. Era dalle Guerre Nere che si sentiva male. Sua madre Fillian cercava in tutti i modi di rincuorarla, ma la morte si impadroniva troppo facilmente delle creature di questo disgraziato mondo.
Chiuse gli occhi e si raggomitolò le gambe contro il petto. Si sposto i lunghi e fluenti capelli argentati dalla fronte e tentò di addormentarsi. Non potè attuare il suo desiderio.
Un lampo blu inchiostro e nero come la notte senza stelle le penetrò tra la fessura delle palpebre, simile alla luce del sole. Senza neanche di schiudere gli occhi sussurrò:
-Che vuoi adesso Nark?
Sentì una risata maligna e aspra provenire dalla porta. Socchiuse appena gli occhi quel tanto per intravedere una nera e fumosa figura sfocata, che si reggeva a una lunga falce, stagliarsi nella luce della stanza.
-Secondo te cosa voglio, se non tormentarti un po’cara sorellina?- ridacchiò Nark. La sua voce era leggermente rauca e maliziosa, una voce a tratti acuta e a tratti profonda come l’ oscurità che dominava.
-Ti prego, Nark, di andartene!
-E perchè dovrei? Ti spaventa forse la mia potenza in quest’ epoca nera…
-Nark…
-…dove conta più della bontà e della bellezza…
-ti prego…
-…che tu tanto ami…
-di…
-…la crudeltà e l’oscurità che invece io governo!
-ANDARTENE! – a quest’ ultima parola Siss balzò in piedi infuriata e si scaraventò contro la sorella con i pugni chiusi che mandavano scintille. Ma non fu abbastanza veloce. Nark si spostò di un solo passo e la dea della vita si trovò lunga distesa sul pavimento. La sorella la prese di peso per il vestito e la tirò su, in modo che Siss le stesse di fronte e la guardasse. Nark aveva la pelle pallida e grigiastra, gli occhi infossati, con le iridi quasi bianche che si confondevano con la cornea dell’ occhio, e una sottile linea grigio perla al posto della pupilla. Le guance magre e scure facevano risaltare gli zigomi, ma le si vedeva soltanto una parte della faccia, perché l’ altra la teneva nascosta dal cappuccio del mantello nero, che spostava solo per farsi vedere da una persona che moriva. Una striscia di cuoio le copriva il seno. Portava pantaloncini molto corti, con un lungo pezzo di stoffa che le copriva la gamba sinistra, dove portava un pesante stivale di cuoio nero arabescato d’ oro. Lo stivale della gamba destra era di una pelle più sottile, da cui si dipartivano lacci di cuoio che si attaccavano al pantaloncino. La mano e l’ avambraccio sinistro erano coperti da un grosso guanto dello stesso materiale dello stivale destro. Sotto al mantello indossava una lunga sottoveste grigio cenere, con una manica larga che le copriva il braccio sinistro. Un grossa ala nera ricoperta di piume che variavano dal nero più cupo al viola chiaro era attaccata alla scapola destra, e una bianca grigiastra, con la membrana stracciata in più punti a quella sinistra. La mano destra impugnava una lunga e grossa falce a due lame, una più grossa e lunga, in cima e un’ altra più corta appena più sotto. Entrambe le lame erano di un colore dorato, con i bordi azzurri, su cui erano state incise parole in una lingua antica che perfino gli dei avevano dimenticato. -Ma sono qui anche per farti vedere una cosa! Detto questo la dea della morte trascinò di peso la sorella fino ad un piedistallo di marmo azzurro, con appoggiata sopra una bacinella in cristallo piena d’ acqua fino all’ orlo. Nark ci passò sopra la mano. Al centro della bacinella si formò un grosso grumo nerastro che si espanse presto per tutta la bacinella. L’ acqua prese la consistenza del vetro e mandò un fascio di luce che colpì in pieno gli occhi delle due sorelle, dando molto dolore a Nark. Quando lei riaprì gli occhi sorrise maliziosa. Sull’ acqua c’ era proprio l’ immagine che voleva. Un elfo si inchinava davanti alla principessa Fraya. Tra i due ci fu una breve discussione, poi lui se ne andò, lasciandola sola. Un pugnale comperve nella mano della principessa, che, dopo averlo osservato attentamente, lo scagliò sulla spallà dell’ elfo. Quest’ultimo cadde a terra bocconi, con il pugnale che scompariva in una nuvola verde e faceva zampillare il sangue dell’ elfo sui suoi vestiti e sull’ erba. La principessa gli si avvicinò con una spada nella mano. La visuale si spostò rapidamente verso le due figure, mettendo i loro corpi in modo che riempissero tutto il bacile proprio nel momento in cui Fraya ribaltava Rowan con il piede. La visuale si avvicinò ancora.
-nessuno si prende gioco di Fraya – la principessa pronunciò le fatidiche parole prima di infilzare al petto l’ elfo. Uno schizzo di sangue le sporcò il volto e le labbra. Fraya lo leccò con avidità, neanche fosse una lecornie di chissà quale paese straniero.
Agguantò l’ elfo morto per la casacca e se lo porto davanti al viso. Poi lo baciò. Gli morse il labbro inferiore con tanta forza da far penetrare i canini affilati nella carne e gli leccò la bocca per pulirla dal sangue. Appoggiò la sua mano sul viso dell’ elfo e trascinò le sue unghie dalla fronte fino al petto, lasciando profondi segni rossi. Poi gli afferrò il collo e penetro la pelle e la carne con le unghie. Siss non riuscì a vedere più niente perché svenne.
***
Quando Fraya si svegliò si accorse subito che qualcosa non andava. Le tende coprivano la finesta, quando di solito si alzava che Carnear, la ragazza che le metteva in ordine la stanza, le aveva spostate per fare entrare la luce. La seconda cosa di cui si accorse era il silenzio, quando sarebbe dovuto esserci risa di gente e musica da sotto. Si mise a sedere sul letto prendendosi la testa tra le mani. Le faceva un male incredibile. Quando il dolore passo uscì dal letto. Provò a ricordare cosa aveva fatto il giorno prima, come amava fare la mattina per cambiare quello che avrebbe fatto oggi, ma aveva solo un buco nero. Si incamminò verso il bagno, quando un lampo di luce senza rumore la fece cadere a terra su un ginocchio. Strabuzzò gli occhi per cercare di vedere da dove proveniva, ma non identificò la provenienza. Tentò di farselo riemergere dalla mente, e giurò che dentro avesse visto se stessa davanti a un elfo inchinato, quindi non potè capire chi era. Si rialzò in piedi e continuò a camminare strascicando i piedi. Quando arrivò davanti allo specchi si appoggiò con le braccia al lavandino e vomitò. Restò con la testa china sul marmo per un po’ ad ansimare come se avesse appena fatto una corsa. Sentiva qualcosa nella pancia, come una serpe che le si insuinava piano piano nel corpo. Chiuse gli occhi e appoggiò il mento sul petto. Poi li riaprì, e alzò lo sguardo sullo specchio. I suoi occhi in quel momento erano di un colore più chiaro del suo solito verde smeraldo, e la pupilla verticale si era assottigliata e allungata ancora di più del normale. Da quella sottile linea nera di diramavano venature verde-giallognole che si allungavano come sottili rigagnoli di veleno verso il bordo dell’ iride. Si allontanò con uno scatto dallo specchio lanciando un urlo. Dopo pochi secondi tornò a guardarsi, ma gli occhi che pochi secondi prima aveva visto erano scomparsi lasciando posto al suo solito verde scuro. Tirò un sospiro di sollievo, si sciacquò la bocca, si pettinò i capelli e indossò una semplice tunica rosso Magenta e un cinturone di cuoio chiaro con una grossa fibbia ovale d’ argento con rifiniture di rame. Infilò morbidi stivali in pelle e si appuntò un fermaglio di ametista in cima alla testa per tenere ferma la sua solita morbida crocchia. Uscì dalle sue stanze con uno strano presentimento addosso, come se fosse successa una tragedia. Le si mescolavano paura e curiosità nella testa. Affondò la mano nei voluminosi capelli portandoseli alla bocca come ogni volta che era concentrata. Poi di nuovo quel lampo, ancora più forte e nitido di prima, e adesso durava ancora di più. Si accasciò a terra con davanti a lei l’ immagine di due occhi viola scuro spalancati dal terrore e che urlavano pietà. Anche mentre si alzava se li trovava davanti, come due spiriti che la seguivano per punirla di qualcosa di terribile. Chiuse di nuovo gli occhi, ma erano ancora lì. Poi li riconobbe. Erano gli occhi di Rowan. “È successo qualcosa a Rowan!” pensò Fraya ” No! No!” Si rialzò a fatica storcendo le labbra, perché sentiva la bile nella bocca. Si buttò giù per le scale come una forsennata. Si tirò su la gonna che le impediva di muoversi velocemente e saltando gli ultimi quattro gradini si ritrovò nel salone dove mangiavano e dove risiedevano i due troni, quello del padre e quello della madre. Fraya diede loro una rapida occhiata. Ogni volta la stupivano, con quella loro altezza e imponenza. Lo scranno di Astron era più grosso, perché essendo lui figlio del re e della regina, era più importante di sua moglie Shakeir. L’ avevano costruito i migliori artigiani degli elfi, con uno splendido legno di rovere che poi era stato ricoperto d’ argento. Il trono aveva un alto schienale che finiva con tre punte, ed era decorato con fregi turchesi. Un lungo drappo verde acqua di seta di Arigoth partiva dalla cima dello schienale, per scendere fino alla seduta, dove si appoggiava un drappo dorato che scendeva ai lati dei braccioli. Quest’ ultimi avevano la foggia di due teste di drago, con le punte, le corna e i denti di avorio laccate di grigio perla. Lo scranno di sua madre era più sottile ma altrettanto alto, solo che lo schienale finiva con due punte ai lati, e in mezzo a esse c’ era una leggera ondulazione verso l’ alto. Il legno in cui era costruito il trono era rivestito in bronzo ed era stato decorato con fregi bordeaux e oro. Un drappo delle sfumature del sole partiva dallo schienale e seguiva lo stesso percorso del precedente, solo che non veniva sovrapposto da nessun’ altro velo. I braccioli, al posto delle teste di drago del trono di Astron, avevano fregi in madreperla e in oro. Fraya si fermò per qualche secondo rapita dalla loro bellezza. Sui due troni erano appoggiate le corone del re e della regina, e sotto di loro stava un lungo velo di seta dei colori del bosco che si snodava fin sotto i tre gradini che rialzavano i troni dei genitori. “ROWAN” le urlò una voce dentro di lei. Fraya si riscosse e si rimise a correre. Uscì dalla sala inoltrandosi nel corridoio che dava sulla porta principale. Uscita dalla reggia scorse in lontananza, vicino al laghetto dei salici dove lei adorava andare la notte, un gruppo di persone eccitate e spaventate. Si mise a correre a perdifiato verso di loro. I capelli le frustavano il volto e negli occhi c’ era ancora l’ immagine di quelle due iridi viola e spaventate. Si sentì afferrare la spalla da una mano forte che la girò di scatto. Fraya si ritrovò davanti a lei la faccia del fratello maggiore che la guardava con occhi interrogativi e assonnati. -Cosa succede Fraya? Cos’ è questa sommossa? – le chiese Aighet -Io, io non lo so – gli rispose Fraya che ancora non si era ripresa dallo spavento e fissava Aighet come fosse un mostro – Ma ti sembra il modo di spaventarmi razza di mostriciattolo dai capelli di carbone? – gli sibilò poi contro. -Vacci piano con le parole, sorellina! Se t’ ho spaventata me ne dispiaccio! -Perdonato! Ma ora andiamo a controllare che è successo, perché ho un brutto presentimento! Detto questo lo tirò per la manica della camicia e si rimise a correre verso il gruppo di gente ammassata. Man mano che s’ avvicinava nella mente le riaffioravano spezzoni di ricordi che non sembravano suoi, e un gelo improvviso le aveva attanagliato le il corpo facendola rabbrividire. -Aighet, ti ricordi se ho mai impugnato una spada? – chiese Fraya al fratello che incespicava dietro all’ elfa. -Non che io sappia! Aho! Il mio piede! -Non ti faresti male se almeno arrancassi un po’ più veloce. -L’ amore che provi per tuo fratello è da invidiare! – ridacchiò lui con sarcasmo. -Piantala e corri. Fraya provava un senso di paura e colpa misto a rabbia e malignità, e queste ultime due emozioni cominciavano a prendere il sopravvento.
Appena arrivò al gruppo di persone bisbiglianti cominciò a spintonarli per vedere che era accaduto, tirandosi sempre dietro il povero Aighet. Stava cominciando a sentirsi male, aveva la nausea e le faceva male il petto, come se continuassero a pungerlo con dei lunghi aghi. Intanto che si innoltrava nella calca di domestici, scudieri e nobili perse la mano di Aighet, ma non ne fece un gran peso, pensando soltanto a correre più veloce e a raggiungere il motivo di interesse delle persone. intorno a lei continuava a sentire frasi tipo “Oh è terribile” “poverino” “chi sarà mai stato?”. aveva quasi raggiunto il limite del gruppo di elfi, che l’ ultimo si girò. riconobbe suo padre in quella figura. il viso stravolto i capelli scompigliati e gli occhi stupiti facevano intendere che quel che aveva visto non era un bello spettacolo. -Fraya, è meglio se non guardi. Non è uno spettacolo adatto a te. -Ma papà, cosa è successo?- poi lo vide. Il corpo dell’ unico ragazzo di cui si era mai innamorata era disteso a terra, con il viso martoriato e quasi irriconoscibile, con unghiate lungo tutta la faccia e profondi buchi rossi sul collo e sulla fronte. Le labbra completamente rosse di sangue erano tagliate in modo orribile, come se qualcuno le avesse morse. un grosso buco si apriva nel suo petto, e il sangue che era uscito aveva tinto la maglia e l’ erba circostante di rosso. il collo della maglia era completamente distrutto e i capelli blu scuro erano ricoperti a tratti da righe di rosso cupo che somigliavano terribilmente a sangue. gli occhi erano sbarrati e vacui, occhi di una persona che non avrebbe mai rivisto la luce o il viso di un amico in vita sua. Fraya cadde per terra presa da un terrore innaturale e una tristezza ch enon aveva voglia di sfociare in un pianto o in un urlo. La giovane principessa si alzò e corse verso il castello come se avesse avuto il fuoco che le correva dietro. quando raggiunse la sua stanza sbattè violentemente la porta e corse in bagno dove vomitò per una seconda volta. le immagini di Rowan morto le riaffiorarono nella mente. Una voce che aveva già sentito le risuono invitante e melliflua nella testa: non devi essere triste piccolina, in fondo ieri gioivi mentre distruggevi il bel visino di quell’ elfo. perchè ora piangi? Fraya ascoltò quelle parole mentre ansimava. ora la sua tristezza stava pian piano facendo spazio a una gioia profondo che le invadeva il petto e la testa. Brava Fraya, è la gioia il sentimento giusto. Sul viso dell’ elfa si delineò un ghigno malefico, mentre una risata cominciava a uscirle dalla bocca, prima leggera e non molto convinta, poi si rafforzò sempre di più, fino a diventare come quella di un pazzo. quando tirò sulla testa nello specchio vide un’ altra persona. i canini si erano allungati a dismisura, mentre gli occhi erano tornati quelli che aveva visto quella mattina allo specchio, che osservavano il riflesso pazzi, febbricitanti e spalancati. Quella gioia, quella gioia che cominciava a prenderla si era espansa per tutto il suo corpo, facendola tremare di euforia. Ma la cosa che le piaceva di più era che a uccidere il suo amato…era stata lei.
di nuovo quella voce misteriosa parlò, dicendo stavolta una sola, singola e viscida parola.
Brava…
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