Your pain my delight: endless regrets

Una stanza buia, dal soffitto rovinato e spoglia di qualsiasi mobile che non siano un letto ed una cassettiera.

Degna di te, mio piccolo demonio.

Avanzo nell’oscurità, ti sono davanti, posso toccarti finalmente!

Lo senti il tocco gelido della morte?

Non ancora: la mia mano ti attraversa la guancia. Non percepisco il tuo calore, per questo dovrò allenarmi ancora… Ma non sarà una simile inezia ad impedirmi di tormentarti. Sono due anni che non faccio altro, questa è la tua punizione. Prima nei sogni ed ora, per mia gioia, anche nella realtà.

Nonostante l’oscurità io posso vedere, e vederti, come se fosse giorno, e non c’entra nulla la flebile luce che penetra le tapparelle rotte al di fuori della finestra; potrei farlo anche se fosse una notte priva di luna.

Sono uno spettro.

La tua espressione è serena, ciò è dovuto forse al fatto che non sono nella tua testa a vessare i tuoi sogni?

Rallegrati fino a che puoi perchè non ti libererai così facilmente di me, devi pagare per i crimini di cui ti sei macchiato. Mi hai sottratto la vita, hai assassinato la tua gente e la tua famiglia.

“Perchè ci hai uccisi? Perchè mi hai ucciso?”.

La mia voce, fievole e sottile, sembra rimbombare in quest’arida stanza, e sono sicuro che lo fa anche nella tua mente. Sì, perchè la tua espressione è mutata!

“Perchè mi hai ucciso Itachi…?”.

Stringi le lenzuola, contrai impercettibilmente le sopracciglia, ed io continuo a porti la stessa domanda, sebbene da ora in poi lo farò direttamente nel tuo orecchio, perchè ho appena iniziato. Un quesito a cui non hai mai risposto, né allora, quando mi tradisti, né nei sogni – incubi.

“Mi fidavo di te… Tutti ci fidavamo…”.

Viso d’angelo, anima di un demonio, traditore. Hai compiuto oggi quindici anni e questo è il mio regalo: un’intera notte, l’ennesima, io e te insieme.

“Come hai potuto? Io ero il tuo migliore amico, ero come un fratello… perchè Itachi?”.

So che accusarti, chiamarti demonio o traditore, non sortirebbero lo stesso effetto. Devi sentirti in colpa, devi soffrire, così come ho sofferto io quando mi hai privato del bene più grande: l’esistenza. Non mi bastano le tue lacrime, che siano cristalline o vermiglie… Quel potere non ti appartiene.
Mi hai ucciso e hai lasciato che quel satanasso di Danzo trafugasse la mia salma, che si impossessasse di uno dei miei preziosissimi occhi e della mia abilità innata. Non importa quante volte ed in quali modi mi lascerai strappare i tuoi nei tuoi sogni, non ti perdonerò mai.

“Come puoi vivere con questo rimorso?”.

Già, come puoi vivere con questo rimorso? Come puoi, dopo gli incubi in cui rivivi costantemente quelle notti. Quella in cui mi hai ucciso, quella in cui hai sterminato l’intero clan, escluso tuo fratello.
“Perchè solo lui? Io non valevo abbastanza? Tua madre non era la più dolce del villaggio? Gli altri bambini non avevano le stesse possibilità? Sei stato egoista… Lo sai questo, vero? Certo che lo sai…”.

Piccole stille trasparenti colano lungo gli angoli dei tuoi occhi chiusi, attraversando le mie dita incorporee. I lamenti e i gemiti da te emessi sono fonte di piacere per la mia anima dannata. Vorrei che aprissi le palpebre e mi vedessi, che mi mostrassi la tua paura anche qui, nel mondo reale dove, solitamente, il tuo volto è sempre stato impassibile ed imperturbabile.
Una paura dettata dall’impotenza, dal rimorso, e dall’angoscia. Sì, perchè tu pensi, o forse speri, che io sia solo un senso di colpa che riesci ad abbandonare per lo meno al risveglio, ma se mi vedessi da desto, capiresti che non avresti più un solo attimo di pace.

Ti tormenteresti in continuazione, ti chiederesti quando potrei apparire, cosa potrei fare… Perderesti il senno? No, quello lo hai smarrito tanto tempo fa, quando ci hai ammazzati.

“Mi hai fatto male, Itachi…”.

Mi hai fatto male davvero, e me ne fai ancora. La mia anima non riesce ad andare avanti, a dimenticare, ed il mio spirito inquieto non può far altro che tormentare il tuo.

Nei sogni, ovviamente, dove più e più volte ti ho avvinto le mani attorno al collo e privato dell’aria che respiri – così come tu hai fatto con me usando un jutsu – osservandoti agonizzare davanti ai miei occhi. Dove ti ho ferito guardando il tuo viso immacolato coprirsi di sangue, il tuo, e ti ho cavato le iridi nere, o rosse che fossero. Dove ti ho visto paralizzato, con la paura pervadere ogni singola parte del tuo corpo, in preda al terrore; eppure tutto questo non mi basta. Non può ridarmi la vita che tu mi hai tolto.

“Ridammela… Ridammi la mia vita…”.

Sarei voluto cadere in battaglia o lottando contro un degno avversario, come si addice ad un guerriero, e non colto alle spalle dal proprio migliore amico. Sarei voluto andarmene sapendo di aver dato la vita per qualcosa di utile, il mio clan, la mia gente, le persone che amo…

“Sei stato un vile lo sai? Non si attacca qualcuno alle spalle…”.

“Perdonami, Shisui…”.

Sì, lamentati, non mi stancherò mai di udirti ripetere queste parole, ma esse non mi daranno indietro il bene più prezioso.

Non posso toccarti, le mie mani sfiorano il tuo volto immacolato e perfetto ma non ne sentono la consistenza. Perchè puoi respirare? Perchè a me non è concesso?

I tuoi lineamenti infantili nascondono il maligno che si cela nel tuo animo, la menzogna; come hai potuto preferire il villaggio alla tua gente?

“Cosa provi ad essere vivo?”.

Già, cosa provi? Cosa provavo io? Non lo ricordo, era normale esserlo. Non badavo a cose come i pasti, gli odori, i suoni o le sensazioni, eppure ora vorrei provarne. Vorrei mangiare ancora una volta quello che un tempo è stato il mio piatto preferito, sentire il profumo dei capelli della donna che amo invadermi le nari. L’odore della terra bagnata dopo che ha piovuto, la voce dolce ed allegra di mia madre che chiama il mio nome, le risa della mia gente, la paura e la gioia, quella vera e non quella che provo nel vederti soffrire.

Perchè mi hai privato di tutto ciò? E come posso perdonarti, io, per il peccato di cui ti sei macchiato.

“Non posso perdonarti, lo capisci vero?”.

Ti agiti ancora, la tua fronte si è imperlata di sudore, e tu farfugli qualcosa di incomprensibile.

Dimenati, struggiti, implorami, mancano ancora molte ore all’alba.

Eppure anche questo dolore incute nel mio animo, quello che una volta avrei definito con la parola gelosia. Tu che sei vivo puoi ancora farlo, a me è negato.

Se fossi umano direi che sto soffrendo, ma sono uno spettro e non capisco cosa provo, ciò che comprendo è che voglio la tua totale afflizione.

Eri il mio angelo, ora sei il mio demone; carnefice.

“Quante persone innocenti hai ucciso oggi?”.

Quanti agnelli sacrificali immolerai domani sul tuo altare? Dieci, venti, trenta? È questo il tuo concetto di pace, mia piccola macchina assassina?

I tuoi erano solamente bei discorsi: pace, giustizia, amore… La verità è che mi hai eliminato per ottenere un potere incommensurabile, con il quale probabilmente hai sterminato il clan, e poi ti sei unito ad un assassino. Ci hai venduti, noi, la tua famiglia. La tua genitrice, il tuo creatore, la tua amata, che poi era la mia…

Ridammela indietro, assieme alla mia vita.

“Avevi detto di volermi bene… Io te ne volevo, sai?”.

Qual è il tuo concetto di bene e quale quello di male? Perchè hai preferito il villaggio a noi?

Nessuno ti abbraccerà più come facevo io, nessuno ti spiegherà più la differenza tra il Junmai e il Ginjo*. Nessuno si siederà più al tuo fianco ad osservare i ciliegi in fiore, due farfalle che danzano leggiadre nell’aria o ad osservare il cielo, rispettando il tuo silenzio. Era bello starti accanto amico mio, mi sentivo privilegiato. Eri il nostro orgoglio, ora sei la nostra vergogna.

Ricordo ancora la prima volta che prendesti in mano un kunai e mi chiedesti di insegnarti ad usarlo. Nel giro di poco tempo imparasti a maneggiarli, e centrasti tutti i bersagli da me designati. Avevi solo cinque anni, ti consideravamo speciale…

“Eri speciale…”.

Ed ora cosa sei? Un traditore, un vile assassino.

“Ero così fiero di te, ti ho dato tutto… Perchè mi hai ripagato in questo modo? Perchè mi hai ucciso?”.

Ti lamenti, biascichi, sei un povero umano.

Umano, non ti vedevo così quando ero in vita. Tu per me eri una creatura elevata, celestiale, ora sei una povera anima dannata, imprigionata in un corpo all’apparenza perfetto ma che è marcio dentro. Corrotto…

Concentro tutta la mia essenza presso le dita che poggiano sulle tue labbra, ma è inutile, non le sento. Odo unicamente i battiti accelerati del tuo cuore, sintomo che le mie parole vanno a segno. Non sono più nella tua testa, eppure la tua mente è ancora succube del mio volere.

Soffri, soffri amico mio, soffri sino a che la disperazione non prenderà il sopravvento e lo stesso tuo essere ti implorerà di dargli tregua.

Quanto potrai resistere ancora? Perchè non ti lasci andare? Cos’è che ti trattiene su questo mondo fatto di dannazione?
“Lo sai vero che non ti darò tregua?”.

Non posso farlo Itachi, ne sei consapevole, le senti anche tu le catene del cordoglio che mi legano a te. Ti priverò della vita come tu hai fatto con me; senza pietà, senza esitazione alcuna e con l’angoscia nel cuore.

Eppure io, al tuo contrario, non posso versare alcuna lacrima poiché non ho più un corpo. Sono solo un fantasma, un’esistenza incorporea giunta sino a te grazie al livore che l’alimenta. L’odio per una morte ignobile e prematura, decesso che tu stesso hai decretato.

“Non ti perdonerò mai…”.

Vorrei piangere, vorrei esserne in grado, come te.
Ti ho sempre invidiato e continuo a farlo, sono il più forte ora eppure, ancora una volta, è una mia illusione, un inganno perchè, in realtà, sei tu ad esserlo. Hai qualcosa che io non ho, ancora… Non ti raggiungerò mai.

Non posso più farlo.

In vita pensavo di avere tutto e non avere nulla, ora non ho nulla e basta. Ho solo te e la moltitudine di aberranti ed insidiose sensazioni che mi fanno compagnia durante il giorno, avvolgendo il mio spirito che, al calar delle tenebre, prende forma ed entra da quella porta per scagliartele contro.

“La senti la mia disperazione?”.

La mia disperazione deve essere la tua Itachi: ti ho amato e tu mi hai tradito, non ti darò pace fino a che non sarai morto ed anche oltre. Che tu sia maledetto Itachi, io, Shisui Uchiha, sangue del tuo stesso sangue, ti maledico anche questa notte, come le precedenti e tutte quelle a venire, fino a che non sarà giunta la tua ora. Fino a che non mi raggiungerai ponendo fine anche alla tua esistenza, come hai fatto con la mia.

“Mi sento solo Itachi…”.

Non voglio che sorga il sole, non voglio svanire, non voglio che queste catene si spezzino… Vorrei che restassero intatte dall’alba al tramonto, non voglio essere unicamente un incubo che svanisce al far del giorno. Ho paura delle tenebre in cui piombo ogni volta, quelle in cui tu mi hai costretto a stare.

Non lasciarmi più solo, vieni con me Itachi…

L’albore è alle porte, la notte è finita, ed io vedo la mia mano sbiadirsi sempre più…

“Vieni con me Itachi… mi manchi…”.

“No!” il mio urlo squarcia la stanza vuota.
Sono nuovamente sudato, ho il fiatone e fa freddo… Ho la sensazione che qualcosa mi abbia sfiorato il volto, Shisui eri tu?

Silenzio, solo una certezza dettata da un’inconfondibile sensazione di disagio e malinconia. Non ho dubbi, eri tu. Il giorno è dunque giunto, non ti limiti più ai sogni… La mia anima dannata non troverà mai più la pace.

Le mie mani sono di nuovo sporche di sangue, il soffitto sta nuovamente bruciando, le fiamme nere corrodono quello che incontrano, vorrei che corrodessero anche il mio spirito, il mio rimorso, ma non è possibile. Shisui, io vorrei accontentarti ma non posso, perchè non capisci?

Non importa quante volte te lo dica, le tue domande restano le stesse… è come se parlassimo due lingue diverse. Le mie parole non arrivano al tuo animo dannato, che io stesso ho dannato! Shisui tu sei la mia condanna, il mio castigo… Questi incubi non termineranno mai, non fino a che io avrò vita.

Sì, la sua dannazione è la mia punizione: quello che mi merito per il mio peccato.
Shisui presto verrò da te ed allora, forse, ci comprenderemo, le mie parole ti perverranno ma, se così non fosse, accetterò la mia pena; rivivrò in eterno i delitti da me commessi.

Il sole è sorto, un nuovo giorno mi attende, un giorno fatto di crimini che si aggiungono a quelli già commessi. Crimini che Shisui potrà minuziosamente rammentarmi questa notte.

“Perdonami amico mio…”.

“No…” una voce fievole e sottile, eppure allo stesso tempo possente e risoluta, riecheggiò nella stanza con un suono spettrale.

Note:

*Junmai, un vino dove l’alcool acquisito deriva dalla semplice fermentazione del riso.

Ginjo, vino leggermente fortificato con alcool di riso (1% di media).

Note dell’autrice:

Il passaggio dalla prima alla terza persona, nelle ultime due righe, è voluto.

Ho voluto suddividere la storia in tre prospettive: quella di Shisui, lo spirito che non riesce ad andare avanti, a perdonare il suo migliore amico per quello che gli ha fatto: ucciderlo. Che rimpiange la sua vita passata e le cose materiali come l’amore, l’amicizia ed immateriali, la vita in sé. Che cerca una vendetta che non potrà mai compiere in quanto il destino di Itachi è quello di essere ucciso dal fratello.

Quella di Itachi, che, in poche righe, ci svela (spero di esserci riuscita xD) il suo pentimento, la sua angoscia e, al contempo, un’ulteriore posizione di Shisui. Il suo spirito infatti ascolta solo quello che vuole, il suo odio gli impedisce di capire la sofferenza di Itachi, le sue ragioni e, per tale motivo, non riesce a perdonarlo e riposare in pace. Possiamo vederlo come un ulteriore attaccamento alla vita, se capisse, svanirebbe per sempre.

Ed infine di un narratore esterno, colui che è sopra ad entrambi.
Questa fiction ha partecipato al ‘Ghost’ Contest in cui sono arrivata terza parimerito con un altra partecipante.
Cosa aggiungere, spero che vi sia piaciuta^^