Chapter 1

chapter 2

Le due persone davanti a lui presero il foglio che Samuele aveva appena scritto, lo strinsero tra le mani e guardarono negli occhi il padre di quel racconto che racchiudeva quella così grande tragedia. Non una sola espressione trapelava dagli occhi del ragazzo; non una sola espressione trapelava dal volto della donna provvista di occhiali con montatura di oro finto, utili per coprire le occhiaie di notti passate senza dormire a causa del proprio lavoro, di rossetto rosso fiammante sulle labbra carnose e la pelle raggrinzita e dalla grana scura, come quella di tutti i fumatori accaniti.

“Posso leggerlo ad alta voce? Farlo sentire a chi vedrà l’intervista?” un secondo di silenzio, prima che la voce suadente della donna riprendesse a parlare.

“Mentre lei è presente, intendo” Samuele si incantò per qualche secondo sulle labbra rosse dell’intervistatrice. Pensò a quanti rossetti dovesse comprare alla settimana se ogni volta se ne metteva metà addosso.

“Ma certo, faccia pure” un accenno di sorriso apparve sul volto del ragazzo. Un debole tentativo di sorridere provenne anche dalla donna e il cameraman, che riprendeva tutto quanto. Il grande marchingegno grigio scuro con la scritta SONY a caratteri cubitali su una delle pareti di plastica gli puntò addosso, tanto da sentire il ronzare dello zoom, segno che lo stava inquadrando con un primo piano.

Durante il tempo in cui la donna rilesse la lettera, Samuele fu inespressivo. Non un sorriso, non una lacrima. Era come spento, forse chi era morto era lui e quello era il purgatorio.

– Un po’ diverso da quello che diceva Dante, magari – pensò. Da due mesi a quella parte gli capitava sempre più spesso di parlare da solo nella testa, comunicando l’essenziale all’esterno. Pensava che forse quello era il suo modo di continuare a vivere senza scopo, dopo averne trovato uno ed averlo perso ancora prima di riuscire a concentrarsi su quello, e quello soltanto.

“Un sole vestito con una maglietta a righe di vario colore ed un paio di jeans…” la lentezza che impiegava la donna nel leggere la lettera era forse più fastidiosa dell’enfasi che tentava – fallendo miseramente, tra l’altro – di dare allo scritto, come se la gente a casa avesse bisogno di essere impressionata per interessarsi a qualcosa, pensò Samuele. A quest’ultimo sembrò particolarmente terribile il momento in cui parlò dei baci; sembrava più un racconto erotico che il loro incontro più significativo messo su carta.

Approfittando del fatto che il cameraman stesse inquadrando la donna seduta al tavolo di metallo grigio con sopra appoggiata una tazzina vuota di caffè, alla sinistra del foglio, il ragazzo mosse una mano per grattarsi un punto appena sotto l’occhio; il tempo di reazione dell’uomo fu incredibilmente veloce: puntò la telecamera verso di lui, mentre la donna aumentava i toni della voce, come se stessero entrando nel momento tragico, quello commovente. Era nel mezzo di pieno business televisivo, fu la conclusione di Samuele. Da lì in poi avrebbe girato i cinema di tutto il mondo nelle vesti del “ragazzo sopravvissuto ad un imboscata di una baby gang”? Oppure no, magari avrebbe visto a breve un film sulla sua vita dal titolo “Sicilia, Amore, Omosessualità: storie di una vittima”, o magari un altro titolo insignificante per un film mediocre. Probabilmente sarebbe diventato ricco facendo la figura di quello che sfrutta una tragedia per fare soldi.

Se tutto ciò fosse successo prima, prima di tutto questo, sarebbe stato – con ogni ragionevole probabilità – disgustato. E non perché non gli servissero i soldi, ma… perché si parlava del suo fidanzato, di un ragazzo ormai morto che lui aveva amato, che sempre lui aveva respirato piangendo fino all’ultimo secondo di vita.

Le persone che passavano intorno al bar all’aperto si fermavano incuriosite, ascoltando il racconto – fortunatamente quasi giunto al termine – della donna. Gli alberi intorno frusciarono stanchi, il vento fresco di un ottobre mite mosse i capelli neri ondulanti, arrivati ormai alle spalle, di Samuele, impassibile.

“Rest in peace, sweet love” la donna si leccò le labbra, seccate dal parlare così a lungo. Appoggiò il foglio sul tavolo e fece cenno al cameraman di avvicinarsi; il ragazzo percepì solo una parte della frase, ma capì che l’intervistatrice stava dicendo di tagliare tutta la parte in cui era presente del sesso. Con ogni probabilità avrebbero tagliato anche la prima parte, o l’avrebbero modificata, pensò Samuele.

“Molto preciso ed accurato, Samuele” un sorriso incoraggiante si diffuse sul volto, come rasserenato, della vecchia.

“Grazie, ma ho solo raccontato cosa significhi amare una persona” rispose con perfetto aplomb l’altro che, seppur si mostrasse rilassato, moriva dalla voglia di sentire una risposta che tranquillizzasse le persone a casa.

“Molti, sentendo la sua storia, hanno pensato che forse la colpa è stata vostra, che il vostro atteggiamento ha scatenato una reazione… è in qualche modo d’accordo con quello che dicono?” Samuele continuò a mostrare un’espressione rilassata; aveva sentito recentemente i Tg raccontare versioni più o meno uguali dell’accaduto, tutte trascurando quel particolare fondamentale che forse è abbastanza rilevante, dopotutto.

“Sono d’accordo nel dire che i telegiornali hanno sapientemente evitato di dire che il mio compagno è morto cercando di evitare che dell’altra gente finisse in mezzo a quello che ci stavano facendo” vidi l’intervistatrice tornare seria, facendo un segno al cameraman.

“Quindi si può sentire soddisfatto di come la vicenda sia finita in televisione? Voglio dire, il mondo potrà sapere cosa le hanno…”

“Potrei stare qui a parlare di cosa si può e non si può dire sui telegiornali di quello che è successo a me ed al mio fidanzato, ma probabilmente finirei tagliato, come circa metà del servizio… sbaglio?” il ragazzo irruppe nella frase della donna, che iniziò nervosamente a giocherellare con la penna che aveva in mano, insieme ad un blocco di fogli A4.

“Mi comprenda, non sono scelte personali, sono scelte per far conoscere la tua… voglio dire, la sua storia al mondo intero, senza scuse che possano evitare ad un importante ente di trasmettere il servizio” i due si guardarono negli occhi, quasi a voler fare una gara di sincerità. Samuele cercò di leggerle il vero pensiero di quella frase nelle iridi verdi, appannate dal riflesso del sole sulle sue lenti.

“Lo fa per la mia storia o per lei e la sua carriera?” il ragazzo vide un guizzo negli occhi dell’altra, come di selvaggio. Posò lentamente la penna sul block notes e fece spegnere la telecamera all’uomo. Si avvicinò al ragazzino incrociando le mani e guardandolo con espressione avida.

“Immagino tu non mi creda…”

“Brillante deduzione” rispose Samuele, con un sorriso tirato sul volto, falsamente ricambiato dalla donna.

“Ho voluto interrompere per un ben preciso motivo… e spero tu non abbia nulla in contrario se ti chiedo un favore” era improvvisamente cambiata, pensò Samuele; gli occhi erano diventati molto più grandi di quelle due fessure che aveva avuto finora, la bocca rossastra era ora più sottile ed aperta a formare un sorriso amaro, come pieno di tanti sentimenti confusi e buttati là alla buona.

“Mi dica…” rispose l’altro, abbassando gli occhi, la stanchezza di quella giornata e della pressione dei ricordi lo stava sfinendo.

“Vorrei che tu mi raccontassi a me, non alle telecamere, attento, ma a me… cosa è successo” il ragazzo colse un guizzo fugace nei suoi occhi: voleva la verità per sé, come se sapesse che se avesse continuato la sua intervista, lui non avrebbe detto molto più di quello che aveva raccontato finora.

“Credo allora sia meglio camminare, sono un po’ stanco di stare qua in mezzo tutta questa gente” Samuele volse uno sguardo alle persone intorno, cercando di far capire che erano di troppo. Queste, di tutta risposta, ripresero a camminare tranquillamente, chi tornando a casa, chi andando a fare la spesa.

Il gruppetto da tre si alzò, incamminandosi lentamente lungo via Dante, che diventando via Roma sembrava tagliare in due la città, spaccata da quella fetta d’asfalto. Un’ insignificante simbologia, aveva ragionato più volte Samuele.

Dopo pochi passi la bocca del ragazzo si mosse impercettibilmente, ma abbastanza da iniziare a raccontare con voce rauca e leggera ciò che il ventuno agosto aveva ucciso la sua anima, che ora non era più presente nel corpo, privato dello spirito.

“Non risparmierò i dettagli, glielo prometto… è una storia lunga e complessa, spero che almeno lei capirà il significato di tutto ciò” disse Samuele, prendendo fiato. Si posò una mano sul petto, come a calmare un’emozione che già scalciava e voleva uscire, dopodichè cominciò a raccontare a tono accorato la vicenda.

Mai in quel religioso silenzio che s’era creato dopo i baci e… bè, quel che aveva fatto, mai avrei trovato qualcosa di brutto, eppure quella felicità sarebbe piovuta dal cielo per pochi giorni ancora.

Il giorno successivo a quello, Ronnie tornò a casa mia accolto con rinnovata felicità da mia madre, che si era ripromessa di uscire per andare a svagarsi un po’, a detta sua. Circa dieci minuti dopo l’entrata del mio ragazzo in casa, lei uscì, e mi ritrovai solo con lui.

Ora… io non sono particolarmente ninfomane, ma bisogna capire che con la casa vuota due ragazzi – inteso nel senso generale, sia ragazzi che ragazze, non pensiamo cose strane – hanno poca fantasia su come passare il tempo…

“Ronnie…” potevo sentire già le sue mani appoggiarsi sulle mie parti basse mentre mi abbracciava da dietro e mi baciava sul collo, spingendo con il suo… lo chiamerò membro, così da non sembrare troppo volgare… sul fondoschiena sempre più forte, facendomi sentire che la sua era voglia di sesso, ora, in quel momento.

Mi voltai, guardandolo negli occhi, e lo baciai… lo baciai così intensamente che potei avvertire chiaramente il mio intimo gonfiarsi e iniziare a stringermi le parti basse. Lo avvicinai ad un muro, al quale si appoggiò; ci fermammo qualche secondo, guardandoci negli occhi, cercando di scrutarci l’anima, e successe tutto all’improvviso. Riuscii a dire soltanto una manciata di parole, prima di donargli la mia vita.

“Ron… ti voglio… ti voglio dentro di me” dissi serio, quasi pregandolo con gli occhi. I suoi inizialmente assunsero un’espressione di sorpresa, poi accennò un sorriso e mi baciò nuovamente, portandomi nella mia camera e facendomi stendere sul letto. Fu un attimo il tempo in cui si tolse i vestiti, rimanendo completamente nudo ed iniziando a spogliarmi. Non riuscivo a pensare a nulla, se non a ripetere la frase “lo voglio dentro di me”. Era come se stesse diventando un obbligo, una mania… e sapevo che se da una parte poteva essere estremamente sporca la cosa, da un altro punto di vista mi rasserenavo pensando che quel pensiero era dato dal desiderio di potermi sentire davvero suo, non solo nell’anima, ma anche nel corpo.

Ragionare in quel modo era così tremendamente scontato, eppure così incredibilmente vero… volevo che lui sentisse che gli avrei dato tutto ciò che avevo.

Le sue mani mi sfiorarono prima le labbra, che baciò, quasi a tapparmi la bocca, poi scese lentamente con il dito, sfiorandomi il petto, ancora glabro, e scese giù, soffermandosi a schiacciare un capezzolo, diventato duro, in parte per via dell’aria fresca che entrava dalla finestra davanti il letto, e in parte dall’eccitazione che sentivo salire ogni istante di più, come… come fosse un allarme, sapevo che arrivato al limite non avrei avuto più controllo di razionalità, senso della misura e buonsenso. Sfortunatamente lui quel limite lo superava abbondantemente già con quei tocchi.

“Ah…Ron…” dissi, ansimante, mentre con le labbra schiuse faceva colare un rivolo di liquido caldo sul mio glande, che diventava più grande ad ogni suo gesto. Scese ancora, aprendomi le gambe, alzandole, quasi io fossi un mobile da studiare, dalla forma curiosa. Sentii prima la mano passare lenta sull’apertura, la sensazione di caldo e la consapevolezza di cosa stava per fare mi fecero vibrare e inarcare la schiena, data da un piacere sconosciuto e che avrei pregato baciando i piedi per avere ogni giorno; e forse lui se ne accorse di cosa provavo, data la sua inspiegabile spavalderia in quel momento. Mi aprì meglio le gambe e si inserì tra queste con la testa, spiazzandomi.

“Oh, Dio, Ron! Cosa st…ah! O mio Dio, ah…” iniziai a gemere ancora prima di capire cosa stava succedendo. Solo dopo qualche secondo riuscii a connettere la sensazione umida sull’apertura con la lingua del ragazzo che stava provocandomi quelle reazioni così incontrollate. Sentivo spingere con la punta, quasi a voler entrare con quella; aprendo gli occhi osservai un momento il pezzo di carne in quel momento quasi inutile che tenevo tra le gambe: aveva fatto cadere delle piccole punte di liquido trasparente e appiccoso. Liquido pre-seminale, credo si chiami.

“Sei caldo, Samu, sei tremendamente caldo” disse Ronnie, penetrandomi lentamente con il dito. Sentii la punta di questo così chiaramente che il muscolo si contrasse, stringendolo e provocandomi un’erezione ancora più visibile. Lui rise, iniziando a muovere dentro di me.

Lui rideva soddisfatto mentre io gemevo. Era questo il modo in cui stavo perdendo la mia verginità con la persona che ancora non sapevo se amare o meno.

Fu ancora più imbarazzante quando lo sentii uscire, trattenere il fiato, e poi avvertire la sensazione di bagnato mentre mi massaggiava l’apertura, e si passava la mano sul membro, in vista ora più che mai. Non era esagerato, non sto qui a prendere in giro nessuno, ad occhio e croce avrei detto meno di quindici centimetri, ma per me, quattordicenne inesperto, era abbastanza da iniziare a gemere sentendo appena la punta.

“Vado giù, se ti fa troppo male tirati su ed esci, se senti di poter resistere io continuo, ok?” mi disse, continuando a guardare in basso. Osservai le ciocche nere, ingelatinate, penzolare sulla sua fronte, calme, o forse io le consideravo calme perché in quel momento tutto era così stupendo che anche fosse caduta una bomba sulla città, io sarei rimasto tranquillo su quel letto, facendomi scivolare dentro Ronnie. Potevo sentire il membro sfregarmi le pareti interne, non andava veloce, come mi sarei aspettato… no, andava lento, in modo che tutto il dolore che sentivo diventasse l’istante dopo piacere, abitudine. Fino a circà metà della sua lunghezza rimasi a metà tra il pensare di essere in paradiso e l’essere diventato masochista, godendo del dolore. Appena iniziò a dare spinte e andare più a fondo però, sentii il corpo rabbrividire più e più volte, mentre con la mente calmavo gli aghi che di volta in volta mi scuotevano. Tuttavia il piacere non mancava, così che l’ansimare non lo fece insospettire.

“Di più, ti prego, spingi Ron” dissi, con la voce che andava a tempo delle spinte. Sentivo che più andava a fondo, più qualcosa toccava un fondo forse inesistente, e più volevo spingesse. Era come avere aria nella pancia e buttarla fuori, come sentire un crampo allo stomaco passare e lasciare il muscolo rilassato. Era il mio personalissimo modo di provare piacere, forse, eppure era tremendamente sadico, fastidioso e al tempo stesso stupendo. Talmente stupendo che la mia mano si mosse da sola sul pene che continuava a mostrarsi fiero al vento.

Fui tentato, dopo pochi minuti, sentendo la sensazione di calore salire lungo il membro, di avvertirlo, ma aspettai l’ultimo secondo, in modo da capire che non fosse solo un momento di piacere più intenso degli altri, ma il superamento del mio limite. Lui in risposta ai miei fremiti mosse una mano dal mio fianco al mio membro, spostando le mie dita e stimolandolo con movimento oscillatorio. Sentii i fiotti finire sulla pancia, su un braccio e alcune gocce anche sul lenzuolo – il rumore della caduta era ormai inconfondibile per ovvi motivi – e avvertii distintamente il muscolo anale restringersi all’inverosimile. Il suo ansimare diventò quasi un urlo soffocato, aumentò la velocità e sentii la carne ondulata scivolare su e giù, come se avessi la visione dell’interno nei miei occhi. Gridò, o almeno pensai stesse gridando, o forse gemendo insistentemente, finchè non avvertii il calore e la sensazione di bagnato dentro, l’umido e il muscolo che stringeva ancora di più, era tutto così… non saprei dirlo a parole. Gemetti, e avvertii il liquido scorrere lento dentro di me e fermarsi, data la posizione orizzontale e il muscolo quasi chiuso dal suo glande. Si appoggiò sul mio petto prima con le mani, poi con tutto il resto del corpo, facendomi accorgere di quanto il suo peso fosse maggiore del mio – non chissà cosa, ma i miei quarantacinque chili erano piume in confronto ai suoi cinquantotto -, ma non ci feci caso. Ero perso nell’accarezzare la sua testa, impegnata a pulire la pancia da quello che era rimasto di me. Sentivo che ero suo, e suo soltanto, mentre usciva dal mio corpo, soddisfatto. In quel momento, con il suo corpo caldo sopra e sentendomi sfinito, rimasi a guardare estasiato i suoi capelli, mentre riprendevo fiato e realizzavo che quella era stata la prima volta in cui gli avevo permesso di usarmi come voleva.

Aveva deciso di amarmi e dedicarsi al NOSTRO piacere. Potevo quasi sentire le campane matrimoniali suonare nel nostro futuro.

Da quel momento in poi, però, tutto precipitò.

I giorni seguenti continuarono sull’onda del primo: sesso, amore, baci… neanche più le crisi di mia madre, che mi offendeva per qualunque cosa ne avesse il sospetto, mi toccavano. Ero protetto, avevo un ragazzo che sapeva trovare una risposta a tutto. I sogni di prima che arrivasse lui nella mia vita si realizzavano uno per uno, con la calma di un uccello mentre da il cibo ai suoi piccoli, nel nido. Forse mi sentivo proprio come uno di quegli uccelli in miniatura; protezione, piacere e… e maturazione. Sentivo di star crescendo dentro, di diventare di giorno in giorno più consapevole di cosa è o non è il mondo, ed un po’ la paura che questo fosse troppo grande per me c’era; un qualcosa che percepiva la negatività di come passavano le giornate… c’era.

Passò una settimana, il diciannove agosto correva come tutti gli altri giorni, sfuggiva dalle mani come sabbia. Ma anche quella, così come ognuna delle giornate trascorse insieme, nascondeva un desiderio, una risata o una visione, che nei miei sogni più irrealizzabili – ed a volte incubi impossibili – erano presenti.

Eravamo arrivati a farlo tre volte al giorno, ed ogni momento era voglia, voglia dell’altro. Di tanto in tanto sembrava quasi bruciassimo di invidia a pensare che il giorno prima, o magari la volta prima, avevamo provato così tanta eccitazione ed amore, e ci riavvolgevamo, ci riabbracciavamo, danzando su note provenienti dall’estate che stava finendo. Il fulmine arrivò all’improvviso ad incenerire il nostro castello fiabesco da ballo.

Decidemmo di uscire, data la particolare veemenza con cui mia madre bussava per entrare. Ogni qualvolta ci appoggiassimo sul letto per riposare uno accanto l’altro, lei entrava con una scusa nuova: “ecco i panni”, “scusa hai visto i miei occhiali”, “cosa vuoi per cena”, “ha chiamato quello dei termosifoni dicendo che domani viene a metterli a posto”… era come se avesse capito cosa facevamo dentro quella camera, e odiasse la felicità che mostravo in quel periodo grazie a Ronnie.

“Usciamo, andiamo a farci una passeggiata, andiamo su qualche pezzo di prato, non ne posso più… o la prossima volta che sento bussare prendo il mouse e la picchio fino a che non vedo il sangue” disse Ron, dopo l’ennesima entrata in stanza di mia madre. Strinsi la sua mano e mi appoggiai sulle sue labbra, schiudendole con la lingua e continuando per diversi minuti. Sorrisi, e senza dire una parola scesi dal letto rimettendomi la maglietta e infilando un paio di calzoncini rossi abbastanza aderenti. Vidi Ronnie abbassare lo sguardo divertito.

“Che c’è?” chiesi, con falsa innocenza. Baciarlo era sempre il solito problema ormonale.

“Niente, figurati”

“Ah, bene. Senti, mi metteresti a posto i calzoncini dietro mentre…” sorrisi, avvicinandomi. Lui fece una smorfia come a dire “ahhh, e così stanno in questo modo le cose” e mi sistemò i calzoni, curandosi di palpare bene ovunque potesse arrivare con le mani, mentre mi infilavo una maglietta dello stesso colore e un gilet di jeans sopra.

Lui si rivestì, essendo rimasto solo con i boxer addosso e nascosto dalle coperte che di volta in volta tiravamo su per non farci vedere da mia madre. Cinque minuti dopo eravamo fuori casa, con rinnovata curiosità della padrona di casa.

“Tua madre sospetta che stiamo insieme, Samu” disse, appena la porta di casa fu chiusa.

“Lo so, ma non farci caso. È un’attivista nelle manifestazioni a favore dell’aborto, dubito sia delusa o triste dalla cosa, qualche giorno fa mi ha detto anche che sei un bel ragazzo, figurati…” misi le chiavi in tasca, cercando la mano di Ron, che non trovai. Mi voltai alla mia destra per vedere dove fosse. Non c’era.

“Amore?” mi voltai dietro di me, scoprendolo spiazzato dalla cosa.

“Sa che sei gay?” disse, a voce alta. Lanciai un’occhiata alla finestra più vicina al piano terra.

“Penso lo sappia da quando le ho chiesto di darmi le cose per farmi la doccia con i miei compagni di squadra, quando andavo a calcio” risposi, con tutta la naturalezza che avevo a disposizione.

“O cazzo… ma l’ha detto a qualcuno che conosce?” non riuscii a decifrare il comportamento di Ronnie. Paura? Sorpresa? Divertimento?

“Che io sappia no… ma anche fosse?” in quel momento mia madre si affacciò dalla finestra della cucina, facendo un gesto con la mano per salutarci, mentre fumava una sigaretta. Presi per mano Ronnie – che rimase praticamente sconvolto, seppur divertito – e la salutai. L’accenno di sorriso che aveva sul volto svanì un momento, poi parlò.

“Ciao Ronnie, ciao tesoro… buona passeggiata!” lo disse con tranquillità, anche se colsi un qualcosa di strano nella voce, come di… sarcasmo. Ci allontanammo continuando a parlare di quando l’avesse scoperto e dei rischi che avremmo corso.

Camminammo per qualche chilometro, prima di trovarci dall’altra parte della città, punto da cui iniziavano campi da pascolo e lotti di grano enormi. Ci stendemmo su un prato pochi metri più in là, dopo esserci curati di aver scavalcato il filo spinato salendo su un paletto lasciato “sgombro”.

Il cielo era pulito, apparte nuvole dalle forme strane e uccelli nel periodo migratorio che passavano a stormi immensi, tanto da sembrare delle inquietanti nuvole dai colori variopinti.

“Grazie di tutto, Ronnie” dissi, ondeggiando la mano per seguire i contorni di una nuvola a forma di torta. Il respiro del ragazzo accanto a me non cambiò.

“Sono io che devo ringraziare te, mi sento in debito per la felicità che ho, soltanto grazie a te” disse, con la voce quasi impastata. Il respiro mi si mozzò per qualche istante. Era di una serietà unica in quell’istante, tanto da perdermi nel suo sguardo perso a studiare un punto di cielo blu. Avrei voluto essere una farfalla per volargli davanti e potermi posare in silenzio sopra, senza fare rumore. Appoggiai la testa sulla sua spalla e ripresi fiato, sentendo le lacrime scendere silenziose. Mi morsi un labbro, così da riprendere quella forza di fermare la commozione del momento.

E poi arrivarono loro, con la testa da cui non spuntava un capello, gli occhi nero pece e gli anfibi.

Morimmo tutti e due, anche se io posso vantarmi di poterlo dire, e di dire che sono stato un codardo. Nient’altro.

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