Princess Mononoke

Aspettavo questo momento da quasi dieci anni.
Non che nel 1991, quando Hayao Miyazaki stava ancora lavorando al suo Porco Rosso, ci fossero già le prime avvisaglie di MONONOKE HIME.

Quello era l’anno della proiezione nei cinematografi italiani di AKIRA. Ma l’esperimento andò male, per non dire malissimo, e a quello seguirono anni di cupo ostracismo nei confronti dell’animazione giapponese al cinema.

Come se non bastasse, lo stesso atteggiamento che già colpisce la japanimation televisiva!

Adesso, finalmente, ecco giunto il momento tanto atteso dai fan italiani. Molti lo interpretano come un momento di riscossa. Per altri è una vera e propria rinascita. Per quelli più giovani, chi appartiene all’ultima generazione, forse non è una cosa così speciale, ma solo una curiosità.

E curioso è stato il modo in cui MONONOKE HIME ha vissuto questa sua esperienza italiana.

La Buenavista lo ha distribuito solo in 12 sale lungo tutto il territorio italiano.

Nessuna pubblicità (non dico i cartelloni, forse era chiedere troppo! ma almeno uno straccio di locandina!!), nessuna spiegazione sul film. Ancora una volta ha dovuto fare tutto il tam-tam degli appassionati.

E la fortuna di MONONOKE HIME è stato Internet, che ai tempi di AKIRA non c’era. La Rete ha fatto da preziosissimo amplificatore e il film si è potuto piazzare al dodicesimo posto nella classifica degli incassi, per il periodo in cui è stato proiettato, nonostante la scarsa propaganda ufficiale.

Distribuito con il fiabesco titolo “LA PRINCIPESSA MONONOKE”, che ha sicuramente ingenerato più di un equivoco nelle mamme italiane, le quali hanno condotto al cinema i loro pargoli cinquenni, il film ha se non altro avuto la fortuna di non essere stato toccato dalla censura. L’adattamento dei dialoghi avrebbe potuto essere più curato, ma il doppiaggio è davvero ottimo, le voci, forse con una o due eccezioni, sono perfette, in particolare quelle dei tre personaggi principali (Ashitaka, San e Eboshi)

La cosa che forse avrei personalmente gradito, come spettatrice del film, è che mi spiegassero perché Ashitaka viene chiamato “fratello”, dalle ragazze del suo villaggio natale (visto che non è davvero loro fratello); poi il fatto che abbiano liquidato il povero cinghiale dell’inizio del film con un semplice “demone” (ed invece il termine originale, “tatarigami”, ha il ben più temibile significato di “dio della maledizione”).

Ashitaka fa parte degli Emishi, una popolazione che da cinquecento anni vive rifugiata in terre lontane da quelle governate dalla corona giapponese.

Se non fosse per l’improvviso irrompere del dio-cinghiale nelle loro vite, il giovane Ashitaka probabilmente non si sarebbe mai sognato di lasciare quei luoghi. E così ecco che Miyazaki racconta come ogni evento ha una segreta ragione di essere, per quanto imperscrutabile essa sia agli umani mortali.

In un’epoca in cui ancora dei, demoni, mostri e fantasmi convivevano con l’uomo come dato di fatto, non è così strano dunque essere portati a pensare che il coinvolgimento di Ashitaka sia stato indispensabile per la salvezza di molte vite umane, tra cui quella di San.

Ma, in fondo, non è così che nascono gli eroi?
San, invece, è una ragazza dal carattere forte e rude, lontanissima dalla dolce compassionevolezza di Nausicaa, ma determinata e coraggiosa (e bella!) quanto lei.

I suoi genitori furono divorati da Moro, la lupa gigante, quando San era ancora in fasce. Da allora era stata proprio la lupa ad allevarla, considerandola una figlia, e ricambiata profondamente dall’amore filiale di San.
La ragazza dunque si schiera in questa lotta, dalla parte degli animali, o per meglio dire, dalla parte della Natura, che già a quel tempo cominciava a soffrire per colpa dell’Uomo.

E la lotta è dura, cruenta, e senza esclusione di colpi, inganni compresi. E alla fine, il bene, più o meno, trionfa, anche se sarebbe più corretto dire che tutto si conclude senza né vinti né vincitori.

Il messaggio è che, per ora, la battaglia è rimandata.

Il progetto per la storia di MONONOKE HIME, Miyazaki se lo porta appresso da molto tempo. In origine però, la storia era completamente diversa. Una vera favola, sul modello del mito de La bella e la bestia.

Questa, brevemente, la trama:
una ragazza, figlia di un generale giapponese al servizio dello shogun, è costretta a convivere con una strana creatura (una sorta di gatto gigante, molto simile a quello usato in Totoro come autobus) per salvare la vita di suo padre. A poco a poco inizierà ad affezionarsi a quell’essere, tanto da arrivare a disperarsi quando lo crederà in fin di vita. E alla fine deciderà di restare per sempre al suo fianco, il che -badate bene- NON muta le sue sembianze in quelle di un bellissimo principe.

Quando Miyazaki pubblicò questa storia, con il titolo appunto di MONONOKE HIME, tradotto per l’occasione dai giapponesi come LA PRINCIPESSA E IL MOSTRO, aveva affermato che quando avesse potuto realizzare il film, non avrebbe modificato la trama originale.

Come abbiamo tutti potuto constatare, il buon Hayao si è clamorosamente smentito, ma, diciamo la verità, è stato molto meglio così.

Adesso, MONONOKE HIME è davvero da considerarsi un capolavoro.

La cosa veramente splendida, comunque, a parte la storia che è obiettivamente complessa e può essere seguita solo con la comprensione dei dialoghi, sono le scenografie. Meravigliosi paesaggi, descritti minuziosamente e dipinti con estrema poesia, che nella loro pacifica bellezza fanno da contraltare alla natura violenta degli esseri umani.

L’animazione, infine, è quanto di meglio sia mai uscito dallo Studio GHIBLI, e lo si vede non nelle grandi scene di azione, ma nei dettagli. Fateci caso, guardando il film. Una scena significativa tra le tante, e che forse ai profani potrebbe passare del tutto inosservata, è proprio all’inizio, quando la vecchia Hi-sama davanti al consiglio del villaggio riunito per discutere del tatarigami e della sorte di Ashitaka, compie un movimento del braccio.

La lunga manica della sua veste ricade in avanti, coprendole la mano, e lei per tirarla su, fa un breve gesto con il polso, con una naturalezza da lasciare a bocca aperta.
Questo è Miyazaki. I veri grandi si riconoscono dalle piccole cose.

Caterina Cantone
takaya@tin.it

Il capolavoro tecnico:
La definizione di capolavoro è senz’altro il termine che più si adatta a Mononoke Hime, un film d’animazione che per tecnica e contenuti può far rabbrividire in ogni scena qualunque prodotto cinematografico anche della stessa Disney.

Uscito in Giappone nel 1997, Mononoke Hime ha richiesto più di tre anni di lavorazione, con un costo di produzione di circa 40 miliardi di lire. Questo film rappresenta un punto di svolta per Miyazaki e la sua arte: per la prima volta il regista accosta all’animazione realizzata a mano, l’utilizzo della computer grafica.

Il film, della durata di 135 minuti, si compone di 144.000 scene disegnate a mano, ognuna controllata e ritoccata dallo stesso Miyazaki, e circa un decimo della produzione è realizzato con immagini generate al computer. Principalmente si tratta di tecniche di colorazione digitale e di costruzione di modelli 3D (poi ricoperti da disegno a mano) o di calcolo delle prospettive, per ottenere un effetto di movimento delle telecamere estremamente realistico (ben al di là dell’effetto macchinoso visto nelle fughe sugli alberi del Tarzan della Disney).

Miyazaki ha voluto immagini in computer grafica che “non sembrassero in computer grafica” (teniamo presente che i giapponesi, nell’ambito degli anime e stranamente eccellendo nei filmati dei videogiochi, vanno poco d’accordo con l’animazione 3D che spesso ha tristi effetti nell’integrazione con le cels realizzate a mano).

L’integrazione della CG con l’animazione tradizionale risulta praticamente invisibile ad un occhio non esperto, dimostrando l’eccellenza del lavoro realizzato dallo Studio Ghibli. Quindi l’uso della CG non danneggia in alcun modo il valore artistico e la qualità di questo lungometraggio. Il motivo principale è da ricercare nel regista, che ha mantenuto un controllo diretto su ogni elemento della lavorazione, compresa l’elaborazione al computer, argomento alquanto “fuori tema” per un regista tradizionalista quale Miyazaki.

D’altronde ben sappiamo come un’opera d’animazione in Giappone, assume le caratteristiche essenziali del singolo autore che ne firma la produzione e ne porta avanti il nome: Miyazaki è un simbolo di questa convenzione, creando ancora una volta un altro suo “figlio” che presenta tutto il patrimonio genetico degli altri “componenti di famiglia”.

L’attenzione ai dettagli sfiora la perfezione e quasi la mania che riusciamo a trovare nella cura dei movimenti di ogni pur minimo elemento presente sullo schermo, in particolare dettagli dei personaggi, come capelli e vestiti.

Per qualche informazione più specifica sulle tecniche di lavorazione di questo film, vi consiglio di leggere l’articolo sulla Computer Grafica negli anime che trovate qui su WangaZINE nella sezione Arretrati delle News.

Un ultimo accenno va alle musiche.
Ho acquistato la colonna sonora di questo film ancora prima di averlo potuto vedere. Il fascino delle musiche è dato soprattutto da un tema portante con un fascino molto personale, ma soprattutto apprezzabile allo stesso modo di un disco contenente una colonna sonora realizzata da John Williams.

Questo tema si richiama all’interno di molti tra i brani orchestrali di cui si compone la colonna sonora, dando un senso di continuità al tutto e accompagnando lo svolgersi della storia con momenti di crescendo o di calma seguendo l’azione sullo schermo.

Mi dispiace ripetermi, ma anche questo aspetto non può che essere definito spettacolare.

Cosa dire?

La votazione potrebbe a qualcuno apparire esagerata, bene:

mai WangaZINE a dato a nessuna produzione una votazione così alta, ma Mononoke Hime rappresenta un termine di paragone assoluto, sotto qualunque aspetto lo si voglia analizzare.
A mio parere qualunque voto risulta anche superfluo.

In italiano il film è disponibile sia in versione VHS (purtroppo rovinata da un video 4:3 che taglia irresponsabilmente le scene del film per renderle a schermo pieno), sia in una eccezionale versione DVD, di cui trovate la recensione sempre sulle nostre pagine virtuali.

In ogni caso questo è un film da collezionare, da vedere e rivedere, un capolavoro che non può altro che essere amato in tutto e per tutto.

Recensione di Caterina Cantone