Metropolis

L’attesa per questo film ha avuto un valore tutto particolare, grazie alla quantità di nomi importanti legati alla sua produzione. Primo fra tutti Osamu Tezuka, autore del manga da cui è tratta la storia del film, adattata per il grande schermo dal grande Katshuhiro Otomo e “girata” da RinTaro. Tre maestri del mondo dell’animazione, per dare vita ad un film la cui produzione è durata ben 5 anni, sfruttando un budget con cifre raramente utilizzate in un lungometraggio animato.

Prima di parlare del film, penso sia opportuno fare un’introduzione sull’autore, importante per comprendere l’importanza del manga da cui il film è tratto, e soprattutto importante per i lettori che magari sentono per la prima volta nominare questo artista.

OSAMU TEZUKA
Nato nel 1928, Osamu Tezuka, meglio conosciuto come “papà del manga”, si può considerare nel rispetto di questo nome come il più influente mangaka e animatore nella crescita che l’industria dell’animazione Giapponese ha avuto nella seconda metà del ‘900.

Tezuka è probabilmente meglio conosciuto grazie alla fama di tre titoli rappresentativi da lui creati negli anni ’50: Janguru Taitei (Kimba il leone bianco), Tetsuwan Atomu (Astro Boy), Ribon no Kinshi (la principessa Zaffiro). L’estremo successo di questi manga, unito al suo avvicinarsi al gusto estetico occidentale ispirandosi volontariamente ai primi grandi classici di Walt Disney, portarono le sue opere ad un grande successo anche al di fuori del Giappone.

Pioniere nell’integrare lo stile cinematografico all’interno del fumetto, Tezuka portò avanti con le sue storie temi di speranza e umanità nel devastato Giappone riemergente dalle distruzioni della guerra. Ponendo l’esempio di Astro Boy, questo racconto si basava su un personaggio in realtà presente già nel manga di Metropolis, poi reso protagonista in questo seguente lavoro, rappresentante le vicende di una società nel pericolo di diventare vittima delle sue stesse tecnologie. Tema toccante per una società (il Giappone) che viveva di prima persona le ambivalenze di un veloce progresso industriale.

Negli anni’60 Tezuka fondò il proprio studio di animazione, la Mushi Production, che lanciò alcuni dei più importanti protagonisti dell’animazione giapponese oggi conosciuti. Lo stesso RinTaro fu uno dei primi animatori ad essere assunti nella Mushi Production.

L’entrata in scena di Tezuka all’interno dell’animazione segnò una tappa fondamentale: l’introduzione di temi adulti e maturi nell’ambito del cartone animato, fino ad allora ristretto a produzioni prettamente dedicate all’infanzia.

METROPOLIS: Il film

Negli anni ’40, molto prima di cominciare Astro Boy, Tezuka, rimasto incredibilmente influenzato dalle immagini del film Metropolis di Fritz Lang, trova ispirazione per la creazione di un proprio manga a cui decide di dare lo stesso titolo del lungometraggio ispiratore.

Il manga di Tezuka dà vita ad un ipotetico futuro in cui Metropolis è una grande città stato popolata da umani e robot che coabitano in una società fortemente segmentata. Portata avanti da un regime che Tezuka ci mostra come caratterizzato da tratti molti affini a quelli delle milizie naziste, questa società vive i continui scontri provocati dalle fazioni anti-robotiche, che combattono per un futuro libero dalle macchine.
Il detective Shunsaku Ban, con il protagonista Kenichi sempre al suo fianco, sono in cerca dello scienziato ribelle, il Dr. Laughton.
Laughton, che impersonifica la tipica figura dello scienziato pazzo, sta ultimando il progetto per la costruizione della super entità definitiva, destinata a sedere sul trono del potere per controllare il mondo. Questa figura temibile, in realtà è rappresentata da una bimba robot, Tima, dall’aspetto delizioso, evidenziato dal tipico tratto morbido dei disegni di Tezuka.
In realtà dietro al progetto di Tima, al di là del Dr. Laughton si cela quella che è la vera figura chiave della storia, Duke Red: un uomo potente, l’uomo che costruì la torre che dominava Metropolis, l’uomo che voleva arrivare al dominio totale.

Ma qualcosa non va… un intervento inaspettato (Rock), un incidente involontario, porta Tima a ritrovarsi sola ad affrontare il mondo, inconsapevole della propria natura di robot e totalmente inerme di fronte al mondo che non conosce.

Fortunatamente Tima capiterà tra le braccia di Kenichi e il forte legame che si formerà tra loro, porterà i due ad affrontare diverse vicende, nel tentativo di scappare da chi da un lato rivuole la bimba robot per utilizzarla allo scopo di conquistare il dominio del mondo, e dall’altro da chi vuole distruggerla per il suo essere un potenziale pericolo per l’umanità.

Questo è il tema principale della storia, ridotta al minimo essenziale per non rovinare il piacere di godere dello sviluppo della trama, profondo e non scontato, a tratti drammatico e sicuramente toccante soprattutto nell’ultima mezz’ora del lungometraggio. Sarebbe anche impossibile riassumere in questo testo i tantissimi spunti di riflessione che le diverse situazioni e personaggi offrono nel corso del film.

Ancora oggi, a cinquant’anni da quando fu immaginato e concepito il manga di Metropolis, la visione di Tezuka dell’impossibilità del progresso scientifico di colmare i reali bisogni dell’umanità, in un mondo in cui ogni cosa viene portata all’estrema meccanizzazione, conferma quest’autore tanto come profeta che come meraviglioso autore di favole del nostro tempo.

Il lungometraggio animato di Metropolis ci viene presentato da due figure chiave della Japanimation moderna: RinTaro alla regia e Katsuhiro Otomo per la stesura della sceneggiatura, due “maestri” dell’animazione che, unendo le loro capacità, danno vita ad una produzione senza dubbio affascinante, ma alquanto strana.

Perché?
Proviamo ad analizzare insieme il film.

La capacità principale della storia ideata da Tezuka, è quella di immergere lo spettatore in un mondo quasi onirico, un futuro indefinito in cui la meccanizzazione e l’industrializzazione sono spinte all’ennesima potenza, ma in cui il progresso e la tecnica sono in realtà quelle che la nostra società ha partorito intorno agli anni ’40 o ’50. Volendo tirare fuori un neologismo, lo chiamerei un “futuro retrò”.

Proprio questa caratteristica si è dimostrata estremamente affascinante, unita a quello che è lo stupendo effetto di rivedere sullo schermo, dopo così tanti anni, dei personaggi concepiti sul character design di Tezuka.

Nostalgia? Sicuramente si.

Ma anche stima per lo stile inconfondile e unico di questo autore: quei tratti rotondi e morbidi dei visi, quei corpi un po’ tozzi, quegli stivaletti che solo Astro Boy e La Principessa Zaffiro sapevano indossare così bene…
Elemento portante del lungometraggio è la computer grafica.

Elemento che da parte sua può essere un pregio, ma che può anche sfociare nel trasformarsi in difetto. La CG di Metropolis si avvale di una progettazione delle strutture (edifici e meccaniche) estremamente curata e a colpo d’occhio affascinante. A lungo andare, però, la sua eccessiva presenza in molte scene può risultare “di troppo”, soprattutto in funzione di una scelta dei materiali e dell’illuminazione non proprio felice. Purtroppo mi rendo sempre più conto che questa diventa sempre più una caratteristica tipica della CG realizzata per i prodotti animati Giapponesi, se paragonata all’etremo realismo della CG americana e persino dell’industria del videogame dello stesso Giappone.

Una cura maggiore nella coerenza tra computer grafica e restante colorazione del film avrebbe sicuramente giovato.

Parlando di colorazione, non si può restare estasiati dall’etrema cura nella realizzazione dei fondali, vere e proprie opere d’arte che con i loro dettagli estremamente curati e la colorazione corposa e calda, fanno restare a bocca aperta quasi ad ogni cambio di scena. Anche l’animazione (realizzata dallo studio MadHouse) si mantiene su livelli da puro spettacolo per quasi tutta la durata del film. Dico quasi, perché, purtroppo e inspiegabilmente (dato l’impegno, il budget e gli anni di lavorazione) in alcune scene Kenichi e Tima scattano, rivelando una strana mancanza di frames. Ripeto, però, che il resto del film mostra una cura dei movimenti e un dettaglio degli elementi animati davvero eccezionale.

Riassumendo, da un lato puramente tecnico, Metropolis è un vero capolavoro di disegno, colorazione e animazione, ma mostra dei lati di discesa nella qualità che, pur se minimi, lo spettatore non si aspetterebbe in una produzione del genere. Inoltre il preponderante uso di computer grafica non perfettamente “fusa” col resto, potrebbe dare fastidio ai puristi dell’animazione fatta a mano.

La sfera musicale di Metropolis è affascinante, un insieme godibile e coinvolgente di brani jazz e blues anni ’50, caratterizzati da archi e fiati che seguono le vicende con ritmi lenti e rilassanti, utilissimi nel coinvolgere lo spettatore nel clima calmo e riflessivo dei momenti vissuti insieme da Kenichi e Tima. Bellissimo il tema portante della colonna sonora, “There’ll never be goodbye”, cantato da Minako Obata in una splendida pronuncia anglosassone raramente udibile da una madrelingua giapponese. WangaZINE vi offre la possibilità si scaricare il music video di Metropolis, proprio con questa canzone.

In conclusione, da parte mia non posso che dirvi che Metropolis è un film affascinante.

Il fascino che solo questo autore ha saputo conferire ai personaggi da lui creati nei propri manga, viene restituito a dovere dai due grandi maestri che hanno realizzato questa trasposizione animata. Personalmente sono molto sensibile al fascino delle opere di Tezuka, ma mi rendo conto, da bravo redattore, come non ci troviamo di fronte ad un film godibile da tutti. L’impatto con Metropolis può essere solo di due modi contrastanti: o piace e affascina fino all’ultima scena, oppure lascia uno strano senso di delusione.

Effettivamente queste sono state le impressioni dei membri della redazione in sala: chi sensibile ad ogni aspetto della produzione, chi deluso e attento nel trovare questo o quest’altro difetto.

Parere personale?

Ve lo risolvo in due frasi:
• Assolutamente da vedere per la bellezza della storia e della realizzazione.
• Eccessivo uso non proprio adeguato della computer grafica.

E con questo chiudo, dicendovi che la versione italiana è stata proiettata nei cinema della nostra penisola ed è, inoltre, disponibile in uno splendido cofanetto di 2 DVD che trovate recensito sempre qui, sulle pagine virtuali di WangaZINE. Il link qui di seguito.

Recensione di Stefano Poggioli