True Royalty

Inizio

Odiavo settembre con tutta me stessa. Lo odiavo principalmente per due cose: uno, il freddo che iniziava a farsi vivo e due, la scuola che ricominciava. Quest’ultimo punto diventava ancora più drammatico quando la scuola da frequentare era nuova, quando non conoscevi nessuno e nessuno ti conosceva, quando a partire da una settimana dal fatidico “primo giorno” la testa si rifiutava di pensare a qualcosa di sensato. Ebbene sì, mi stavo preparando per il mio primo giorno di scuole superiori. Feci una doccia veloce, infilai la divisa delle matricole e mi truccai, cercando di sembrare un pò più carina del solito, presi libri e giacca, addentai un biscotto al cioccolato ed uscii di casa più in fretta possibile; l’ultima cosa che volevo era ascoltare il solito elenco di raccomandazioni di mia madre, quella donna era fin troppo apprensiva e mi stava sempre intorno, strano che non fosse già venuta ad innervosirmi più di quanto non lo fossi con le sue assurdità. Avevo già percorso il tragitto da casa a scuola almeno venti volte, non volevo arrivare a scuola in ritardo il primo giorno con la scusa che non ricordavo la strada per raggiungerla, sarei stata etichettata immediatamente come idiota ed esclusa da tutti. Cercai di camminare con passo deciso ma non troppo veloce, volevo dare, a chi mi guardava, l’idea della ragazza indipendente e forte. Passando per il parco vidi dei bambini che, nonostante fosse molto presto, erano già intenti a giocare tra di loro. Li guardai con una punta di invidia, loro non dovevano pensare alla società, alla scuola superiore, alle apparenze e a tutto il resto, la loro sola preoccupazione era dover trovare un modo per divertirsi. Mi sentii un pò strana, di solito gli adolescenti sono felici di iniziare il liceo, è una specie di passaggio simbolico dalla fanciullezza a quella che dovrebbe essere la maturità. Per me non era così, anzi, avrei preferito di gran lunga restare bambina e continuare ad impastare torte di fango e foglie piuttosto che diventare una di quelle stereotipate studentesse delle superiori. Forse non ero tagliata per far parte della società, o forse, e più probabilmente, non era tagliata per fare l’adolescente. Mi accorsi che stavo per arrivare a scuola dai fiumi di studenti che si erano uniti a me, adesso più che una persona decisa, sembravo uguale a tutti gli altri, mi accorsi subito che le matricole avevano la mia stessa, anonima divisa, camicia bianca con sopra un gilet nero e lo stemma della scuola ed una gonna bianca con bordo nero di raso e sopra i simboli delle carte da gioco ricamati; non ero molto informata sulla scuola che mi apprestavo a frequentare quindi ignoravo il significato di quella strana divisa scolastica. Quando mi ritrovai davanti all’enorme cancello in ferro provai un lungo brivido lungo tutta la schiena, mi metteva terribilmente a disagio sebbene l’avessi già visto diverse volte durante le mie prove per il tragitto da casa a scuola. Non l’avevo mai guardato bene, in quei giorni ero troppo ansiosa per farlo. Sgranai gli occhi e cercai di studiarlo più attentamente per scoprirne i dettagli, ma riuscii a vedere solo il nome della scuola scritto in grandi lettere sopra il cancello dipinte di rosso e nero, come i simboli delle carte, la scuola, come già sapevo bene, si chiamava “True Royalty”, nome piuttosto insolito per una liceo. Poi non fui capace di scorgere nient’altro a causa del fiume di studenti che mi trascinò dentro il giardino della scuola. Quando la coda si esaurì, il cancello si chiuse con un tonfo sordo; ero dentro e ormai non potevo più tornare indietro.

La persona che si qualificò come la preside, una donna anziana ma giovanile, alta, snella e dai capelli bianchi raccolti in uno chignon alto, ci invitò con un largo sorriso ad entrare nella scuola. Le matricole -tutte tranne me e poche altre- esultavano eccitate, i “veterani” della True Royalty, al contrario, non sembravano molto entusiasti di cominciare un nuovo anno scolastico. Quando fummo entrati ammirai l’interno dell’edificio, elegantemente arredato in stile vittoriano, strano, per una scuola privata la cui retta annuale non era poi molto alta. I miei genitori l’avevano scelta proprio per questi due ultimi fattori, primo, era una scuola privata, quindi si supponeva che il livello di educazione degli studenti fosse più alto, fin da piccola ero sempre stata presa di mira da persone che, diversamente da me, erano strafottenti e sicure di sè. Mio padre li chiamava disadattati, e forse era vero; secondo, era una scuola che a quanto si diceva, era di ottimo livello e frequentarla costava veramente una miseria, in paragone alla sua reputazione. Attraversammo l’enorme atrio in fretta, con in sottofondo la voce squillante della preside che ripeteva di non fermarsi ed il parlottare degli studenti ed arrivammo in un enorme sala piena di sedie imbottite e dall’aspetto comodo, dove ci venne indicato di sederci. Io mi sedetti in mezzo a due matricole come me, alla mia destra c’era una ragazza più bassa di me di almeno dieci centimetri ma dal fisico asciutto e dai lineamenti dolci; alla mia sinistra, invece, c’era l’esatto opposto: una ragazza bella ma piuttosto mascolina, dai capelli tagliati corti e dall’espressione imbronciata, se non fosse stato per la gonna della divisa, probabilmente l’avrei scambiata per un ragazzo. Decisi di provare a fare amicizia con una delle due ma la ragazza che sedeva alla mia destra mi precedette:

“Quindi anche tu sei una matricola” disse indicando la ma divisa.

“G-già” risposi io, colta di sorpresa.

La ragazza mi rivolse un ampio sorriso, che cercai a modo mio di ricambiare, poi mi porse la mano: “Comunque piacere, io mi chiamo Clara, ma tutti mi chiamano Nari”

“Io sono Arisu, piacere” tesi la mano a mia volta e strinsi quella di Nari.

“Che nome strano, è straniero?”

“Sì, mia madre è giapponese ed ha insistito per farmi avere un nome originario del suo paese” dissi sbuffando, il mio nome era troppo particolare, per questo non mi era mai andato a genio. Improvvisamente le luci si abbassarono e una voce sconosciuta proveniete dagli autoparlanti ci ordinò di stare in silenzio, il discorso di inizio anno stava per essere pronunciato dalla preside. “Continuiamo a parlare più tardi, Ari”

Annuii con la testa, sorpresa che Clara mi chiamasse già con un diminuitivo e mi trattasse in modo amichevole, non ero mai stata benvista dai miei compagni di classe, forse per il mio carattere schivo, ma adesso non importava, forse il liceo non era così male come credevo. Cacciai dalla testa i miei pensieri e vidi la preside salire sul palco illuminato da otto grandi fari che si trovava di fronte alle nostre sedie, seguita da quattro ragazzi, due femmine e due maschi, bellissimi e dalle divise appariscenti ed eleganti: “Oh, ecco i quattro Reali, speravo tanto di vederli” disse Nari, con la voce quasi strozzata per l’emozione.

“Zitta, matricola”, intimò una voce da dietro.

Nari sorrise e mi guardò entusiasta, mi limitai a guardarla a mia volta stranita, non riuscivo a capire perchè fosse così eccitata alla vista di quei ragazzi che avava chiamato “Reali”. Chi erano per meritarsi un appellativo così imponente?

Guardai la ragazza alla mia sinistra, quella con cui non avevo parlato, per vedere la sua reazione dopo l’esclamazione di Nari, ma la sua faccia era rimasta impassibile da quando ci eravamo seduti.

La preside si schiarì la voce ed io ripresi a guardare il palco, in attesa di maggiori informazioni su quella scuola così particolare.

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