I’m Your Pet

Autoconclusiva

Lui mi ha portato via dal mio padrone. Una notte è venuto e ha staccato la catena che mi teneva al muro. Ho dovuto abbandonare tutte le mie cose: la ciotola, la copertina sulla quale dormivo e sopra ogni altra cosa ho lasciato il mio compagno di giochi. Dormiva nella sua cesta, acciambellato come fa di solito e non si è neppure svegliato mentre venivo trascinato fuori dalla stanza.
Non so il perché di questo cambiamento, non mi sembra di conoscere l’uomo che ora è il mio nuovo padrone. Però è molto bello, molto più bello di quello che avevo prima. E’ alto e magro, il viso dai lineamenti affilati, folti capelli neri e lunghi fin sulle spalle. E’ sempre vestito di nero: pantaloni di pelle e una t-shirt dello stesso colore, cintura borchiata e stivali di cuoio. Al collo porta una collana col crocifisso che brilla nella luce dell’unica lampadina della mia nuova casa.
Lui viene a trovarmi tutti i giorni e mi porta cibo e acqua che mette in una scodella e poi trascorre il tempo a parlarmi ma io non capisco. Non riesco a capire cosa dice, cosa vuole ed io stesso non riesco ad esprimermi. Penso, questo sì. Ma non parlo.
Oggi è venuto nel pomeriggio e non ha portato nulla da mangiare. Mi guarda in modo strano con quei suoi occhi neri e profondi. Strattona la catena che è appesa al collare che porto intorno al collo e mi costringe a scendere dalla mia cuccetta. Si siede al mio posto, tra le lenzuola spiegazzate.
Continua ad osservarmi. La sua mano passa leggera sulla cicatrice che sfregia il mio ventre, non ricordo come me la sono procurata come non ricordo nulla del mio passato. Non so chi sono, cosa sono e perché sono incatenato a questo muro. Gli lecco la mano, voglio che capisca che amo il mio padrone. Lui non la ritira come faceva le prime volte, anzi, ora la tiene ferma davanti a me in modo che possa leccare per bene ogni suo dito. Mi piace così tanto farmi toccare da lui e cerco di dimostrargli così il mio affetto e poi vorrei qualcosa da mangiare. Ho tanta fame, oggi…
L’uomo ritira la mano e riprende ad osservarmi. Mi inginocchio ai suoi piedi e mi appoggio alle sue gambe. Vorrei che mi accarezzasse la testa. Chiudo gli occhi e rimango lì, in attesa di quanto vorrà regalarmi nel tempo che trascorrerà con me.
“Perché non parli? Non hai nessun impedimento fisico, la tua gola sta bene e le corde vocali sono perfette.”
La sua voce è così dolce, mi piace ascoltarla, peccato solo che non capisca cosa dice. Mi sta toccando la gola, slaccia il collare che ho sempre avuto al collo e lo lascia cadere a terra.
Sono libero? Oh, padrone… mi alzo sulle ginocchia e per ringraziarlo gli lecco il viso. Lo circondo con le braccia e continuo a leccare: le sue labbra sono così morbide, seguo il loro contorno con la punta della lingua.
“Che fai? Non devi fare così.”
Il suo tono si è fatto duro, forse non gli piace quello che sto facendo. Eppure è così piacevole sentire la sua pelle liscia sotto la lingua e il contatto fuggevole con la sua bocca. Si è scostato e mi ha spinto all’indietro, forse non gli piacciono i miei baci?
“Quel bastardo ti ha proprio rovinato. Non c’è niente da fare, sei un cane… ed io sono il tuo padrone.”
Mi riavvicino e lo abbraccio di nuovo. Questa volta mi attira a sé con un braccio e mi tiene contro il suo petto. Lo sento parlare sommessamente al mio orecchio, ma l’unica cosa che comprendo è il desiderio che ho di compiacerlo. Mi stringo contro il suo corpo e affondo le mani nei capelli neri ed il viso nell’incavo del suo collo.
“Basta adesso. Smettila di leccarmi!”
Non obbedisco all’ordine, non ci penso nemmeno. Sono troppo preso da questa sensazione, sono frastornato dal suo odore, dal calore del suo corpo e dalla stretta delle sue gambe sui miei fianchi. E la sua mano non mi sta allontanando ma preme sulla mia schiena, mi fa inarcare mettendo in evidenza quanto è cresciuto tra le mie gambe.
“A questo punto penso che bisognerà mettere in chiaro chi è il cane e chi il padrone. Non è vero?”
Una domanda.. cosa vuoi da me, padrone? Forse vuoi questo. Mi libero dall’abbraccio e mi abbasso fra le sue gambe e lecco nello stesso punto dove mi piacerebbe essere toccato. Peccato che sia tutto coperto dalla stoffa però sento che qualcosa sta cambiando: lo sento crescere sotto la lingua, provo a mordicchiare leggermente e cresce più velocemente.
“Ehi! Ma vuoi essere punito più duramente? Smettila! Ma che diavolo stai facendo?”
Mi tira per i capelli, ma io non mi muovo di un millimetro. Il viso affondato tra le sue gambe e le mani che si tengono saldamente alle sue ginocchia. Non sarà facile togliermi da qua, è troppo bello ciò che percepisco al di sotto di questo fastidioso strato di stoffa.
La sua mano infine, riesce a staccarmi e mi lascio sfuggire un mugolio di disappunto.
Lo sguardo del mio padrone si fa attento.
“Allora se vuoi, puoi parlare… Rifallo.”
“Uh… Mmm… Uwaah…”
“Se la metti così, sono felice di darti quanto desideri.”
Le sue mani mi lasciano e slacciano la cintura borchiata e i pantaloni, la zip scende lentamente. Riesco ad intravedere il rigonfiamento sotto la patta aperta. Il padrone infila i pollici nell’elastico dei boxer attillati e li abbassa con un solo movimento. Rimango qualche secondo affascinato da quanto vedo, in qualche modo questa situazione mi ricorda qualcosa. Ma è questione di un attimo, poi tutto si offusca nuovamente e l’unica cosa che mi preme è deliziare il mio padrone.
Mi piace leccarlo e prenderlo in bocca fino a quando mi sento quasi soffocare, come mi piace sentire i suoi fremiti ogni qualvolta stringo le labbra intorno alla punta per poi proseguire per tutta la sua lunghezza fino alla base e ritornare indietro.
“Mmm… wah… guu…”
“Continua, fammi sentire la tua voce, avanti…”
Il padrone mi sembra contento di quanto sto facendo, anzi direi che è proprio soddisfatto.
Rimanendo in ginocchio davanti a lui, mi sollevo fino ad arrivare al suo viso. Voglio leccare le sue labbra dolci, voglio che sappia che anche io sono felice.
“Forse hai bisogno di qualcosa di più forte, sei già sulla buona strada.”
Mi spinge di lato sulla cuccetta, a pancia sotto e mi tiene con forza la testa sul materasso duro.
Lo sento armeggiare con la chiusura dei miei pantaloni, strattona e li abbassa lungo le mie gambe.
“Tieni, fai quello che più ti piace. Lecca.”
Mi porta la sua mano davanti al viso e mi ficca due dita in bocca. Le bagno con la saliva mentre sento che mi imprigionano la lingua e ci giocano passandoci intorno più volte.
“Bravo. Ora vediamo se ti piace questo.”
Si inginocchia accanto a me e tenendomi disteso mi infila un dito nell’ano. Sento dolore, sento bruciare, mi sta facendo male. Il mio padrone mi sta facendo del male.
Mi agito sotto la sua presa, ma non riesco a liberarmi.
“Gahh… uhh…”
Ora ha infilato un secondo dito e mi sento come se mi stesse dilaniando. Ho gli occhi pieni di lacrime, sto male, ho paura. La sua mano non mi schiaccia più sul letto ma solleva il mio viso tenendomi per il mento.
“Cosa c’è che non va? Senti male?”
Guardo il mio padrone e non riesco a vederlo bene attraverso il velo di lacrime. Eppure dal tono di voce capisco che non è arrabbiato con me e quindi questa non è una punizione. Allora perché mi fa così tanto male?
“Uu… uuu… guuu…awwa…”
Sfila le dita e mi rigira sul letto, si appoggia sul gomito accanto a me e si abbassa sul mio petto. Sento le sue labbra sulla mia pelle. Il padrone mi sta leccando? No, non fa come me. Usa i denti e la lingua sulla mia parte più morbida e vulnerabile, la sento indurirsi nella sua bocca. Questo mi piace, mi fa stare bene e vorrei che continuasse anche dall’altra parte…
Mi sembra di nuovo di ricordare qualcosa: la figura di un uomo sopra di me e il piacere che provavo nel sentirlo così vicino. Il suo profumo era inebriante quasi come l’odore del mio padrone.
Mi giro a guardarlo: e se fosse lui l’uomo dei miei ricordi?
Di nuovo ha messo le dita nella mia apertura, sento meno male ma ho ancora paura. Perché non mi tocca dove più mi piace? È lì, proprio sopra la sua mano, ne ho così bisogno e lo desidero più di ogni altra cosa.
“Avanti, dì qualcosa. Dimmi cosa vuoi.”
Perché mi tratti così, padrone. Io ti amo e tu mi stai facendo male, anche se in verità, il dolore se ne è andato e sento questo calore salire e portare una sensazione piacevole a tutto il mio corpo. Forse non è così brutta questa cosa che mi stai facendo. Comincia a piacermi sentire le tue dita affondare dentro di me e forse potrei dare piacere anche a te se…
“Aaa… uwaah…”
Il padrone è sopra di me e mi sta baciando il collo. Forse ce la faccio a toccare quello che più mi piace, allungo la mano fino al bordo dei suoi pantaloni. In fondo è già libero, devo solo prenderlo in mano e…
“Cosa stai cercando di fare?”
Afferra la mia mano e si alza in ginocchio sopra di me. Mi stringe il polso e pare non importargli delle mie esigenze, perché ora ne ho veramente bisogno. Il mio corpo reclama soddisfazione, ogni respiro è un ansito di piacere che mi sfugge.
“Nuu… fuaaah…”
“Se lo vuoi così tanto, apri la bocca e chiedimelo.”
Non ti arrabbiare con me, padrone. Io ti amo. E forse ora ricordo.
“Sh… ii…aah.”
“Avanti, non sei un cane. Sei un uomo. Parla!”
“Sh… Shiki.”
Dall’espressione del suo volto capisco che non ho sbagliato. Il suo nome è Shiki. E non è il mio padrone. Questa volta è lui che non riesce a dire una parola, ma in questo caso non fa nulla. Mi apre le gambe e punta la sua erezione contro l’apertura: lo sento entrare, non è delicato ma non ha importanza. Ho ritrovato il mio uomo e forse qualche frammento di memoria.

La lama brilla nell’oscurità e fende l’aria.
Apre uno squarcio nel mio corpo.

Le sue spinte si fanno più profonde e veloci, il suo peso mi schiaccia sul letto tra le lenzuola sgualcite. La presa delle sue mani sulle mie gambe sollevate e divaricate è ferrea, sicuramente mi lascerà dei segni scuri.

Qualcuno mi raccoglie e mi cura.
Esperimenta su me ogni tipo di droga, finché la mia coscienza è completamente annichilita.

Il suo respiro diventa pesante ma continua a guardarmi. I suoi occhi sono appannati dal piacere e dalla consapevolezza che sono tornato.
“Shiki…” lo circondo con le braccia attirandolo ancora più vicino. Voglio sentire la sua bocca sulla mia, voglio finalmente un bacio dalle sue labbra proprio come faceva prima della mia sparizione.

Sono un cane e seguo il mio padrone al guinzaglio.
Eseguo diligentemente i suoi ordini.

La sua lingua danza frenetica dentro e fuori dalla mia bocca, lo sento sussurrare un nome.
Il mio nome.
“Akira.”

I ricordi sono svaniti dalla mia mente.
Neppure Shiki è sopravvissuto al mio cambiamento.
Eppure è l’unico che abbia mai amato.

Ricambio il bacio, ora non sono più un animale. Sono me stesso, sto baciando il mio uomo e mi stringo a lui in un abbraccio disperato. Non voglio che mi lasci solo mai più. Voglio che getti via questo collare e questa catena che mi hanno imprigionato per così tanto tempo. Voglio essere di nuovo libero, vedere il cielo sopra la mia testa e calpestare l’erba di un prato, sentire la sua voce e vedere il suo volto…
Non riesco ancora a parlare coerentemente ma lo sguardo dei miei occhi non può essere frainteso.
Lascia la presa sulla mia coscia e abbassa la mano sull’inguine. Prende la mia erezione e la stringe tra le dita, delicatamente inizia il massaggio e la perizia delle sue mani è senza eguali.
“Sei tornato, piccolo.”
Lo stringo ancora di più, circondando con le braccia il suo collo. I capelli neri scendono sul mio viso confondendosi con i miei, le sue carezze mi fanno impazzire mentre le sue spinte diventano convulse e perdono il ritmo che aveva mantenuto fino a quel momento.
“Waah… Shiki…”
Vengo nelle sue dita e lui viene dentro di me, sento invadermi dal suo seme caldo, lo stesso che stà iniziando a colare lungo le mie gambe. Si è sfilato con delicatezza ed ora giace al mio fianco, ansimante ma soddisfatto. Nessuno avrebbe mai immaginato che il sesso mi avrebbe aiutato a ritrovare la memoria e me stesso. Mi appoggio al gomito e seguo con l’indice il profilo del suo petto che si alza ed abbassa senza un ritmo preciso. Mi avvicino al suo viso, tiene gli occhi chiusi e la sua bocca è curvata in un sorriso.
Lo lecco sulle labbra.
Si scosta quasi irritato e mi fulmina in uno strano sguardo tra l’incredulo e chi sta perdendo di nuovo la speranza.
“Ti amo, Shiki.”
Sorrido mentre pronuncio queste parole. Ora potrà essere veramente felice, invece i suoi occhi non perdono quell’espressione arrabbiata che mi fa quasi paura.
“A cuccia, bobi.”
Poi inizia a ridere ed io con lui e penso che non smetteremo più.

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